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Scala di gialli alla Christie - 3
Una ricca zia muore di ischemia cerebrale, l’eredità va alla nipote, ma poco dopo muore la giovane dama da compagnia e tutti i sospetti cadono sull’ereditiera. In mezzo c’è un uomo e di parla di delitto passionale. Poirot è chiamato ad aiutare l’avvocato della donna a difenderla quando tutti gli indizi sono contro di lei.
Mescolando una storia classica alle aule di tribunale, Agatha Christie apre qui per la prima volta un genere destinato ad avere enorme fortuna, non solo al cinema (con lo splendido “Testimone d’accusa” di Billy Wilder), ma anche nelle serie tv, prime fra tutte “Law & Order”. Per altro la scrittrice conosce bene, con profondità d’istinto piuttosto che filosofico, la natura umana e non manca di scavare con precisione nelle pieghe fangose e spesso crudeli dell’animo. Inoltre questo libro, per quanto più debole dal punto di vista del giallo (mi pare ci siano due o tre buchi abbastanza evidenti, ma le trame, confesso, mi interessano relativamente), offre un interessante spunto di riflessione, molto moderno e, purtroppo, non sfruttato dalla Christie, che è invece scrittrice molto classica: l’idea cioè che ogni testimonianza è una visione soggettiva, interpretativa della realtà, e che quindi la verità sia a tutti gli effetti impossibile. E se la verità impossibile è la voce di un testimone in un processo penale, allora anche la giustizia vacilla pericolosamente. Buona parte del romanzo è occupata dalle indagini di Poirot che sente raccontarsi la storia via via diversamente da ogni personaggio. Questa prospettiva “cubista” è più nella malizia del lettore che negli intenti della scrittrice, mi rendo conto, ma presagisce linee di pensiero molto contemporanee (dal Bolano della “Pista di ghiaccio” all’”Espiazione” di McEwan). Interessante anche la riflessione sul fine-vita e sul suicidio assistito di cui più volte parlano i personaggi.
Insomma, dipende da quale occhio si vuole usare per leggerlo: “La parola alla difesa” non è un giallo perfetto, ma sicuramente ha più di qualcosa da dire e accompagna con gusto per qualche ora. (Mi disturba invece la scarsa cura dell’edizione italiana che sopprime la citazione shakespeariana da cui è tratto il titolo originale, “Sad cypress” o le sviste di traduzione, come to pretend tradotto come l’italiano “pretendere”, ma che significa in realtà “fingere”.)
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Mi accodo a quel che dicevate con Marianna, ma Hastings non è un po' un secondo o dico una sciocchezza?
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Che edizione hai? Così la evito, visti gli strafalcioni della traduzione . Ciao e grazie