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Il precetto della reclusa
Torna il commissario Jean-Baptiste Adamsberg, felice creatura uscita dalle abili mani di Fred Vargas, in Il morso della reclusa.
Commissario di polizia francese, Adamsberg, è piuttosto distratto , sempre con la testa tra le nuvole sognante, per questo soprannominato “spalatore di nuvole”, non usa un vero e proprio metodo investigativo, ma agisce in base a sensazioni, intuizioni, ragionamenti lunghi e alla apparenza astrusi, ma vincenti. Usa l’intuito, più che altro. E in questo caso “intuisce” che dietro alla morte di tre anziani all’apparenza morti per un morso di un ragno, detto “la reclusa”, c’è dell’altro, rispetto a quello che sembra una tragica fatalità. Riflette a lungo, scoprendo quello che definisce come
“il precetto della reclusa”
Ovvero:
“Ne ha ricavato un precetto che, secondo lui, si applica a tutte le situazioni dell’esistenza: non lasciare mai un morso in sospeso, grattarlo sempre fino in fondo, fino a sanguinare, se non si vuole correre il rischio che prenda per tutta la vita.”
E quindi al commissario non rimane che scavare, scavare nel passato delle vittime, alla scoperta della verità irraggiungibile.
Un giallo ben congegnato, ma per i miei personali gusti, molto, troppo indolente. Costruito su un personaggio che non mi entusiasma particolarmente proprio per le sue peculiarità, è comunque un testo ben scritto, una trama insolita che attira ed incuriosisce.