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Erika e le suicide bags
Uno stimato medico di famiglia viene trovato morto nel suo letto. È completamente nudo e, attorno alla testa, porta ancora il sacchetto di plastica che ha causato il decesso per asfissia. È stato un gioco sessuale finito male? Un suicidio? Oppure è un omicidio? In questo secondo caso qual è il movente?
A questo primo caso, apparentemente legato agli ambienti omosessuali londinesi, ne seguiranno altri, ancora più inspiegabili, ma tutti collegati dalle stesse circostanze: il sesso maschile della vittima, il fatto che essa venga sempre ritrovata a letto nuda e l’uso di un particolare tipo di sacchetto di plastica chiuso da una cordicella, chiamato proprio “suicide bag”, per l’uso per il quale è stato appositamente studiato.
Questo è il secondo romanzo che vede come protagonista la detective slovacca, naturalizzata inglese, Erika Foster, già conosciuta con il giallo “La donna di ghiaccio”. Anche in questo libro la troviamo alle prese con un serial killer (o una serial killer donna?) che agisce con fredda determinazione nel causare l’atroce morte delle sue vittime senza lasciare quasi alcuna traccia evidente del suo passaggio. Anche qui, alla fine, si instaurerà una relazione diretta tra l’omicida e l’investigatrice. Anche in questo caso la tenacia e l’acume della poliziotta londinese dovranno fare i conti con l’ostilità dei capi, l’ottusità di alcuni colleghi e i preconcetti che porteranno a deviare le indagini più di una volta, sin quasi a vanificare le abili intuizioni della donna. Anche in questo caso Erika dovrà lottare sul fronte personale con i fantasmi del proprio passato e il dolore per la morte del marito, mentre su quello professionale sarà costretta a disubbidire agli ordini che le vengono impartiti dai superiori. Anche in questo caso la poliziotta rischierà la vita personalmente per portare a termine felicemente l’indagine.
In pratica la storia segue i medesimi cliché del romanzo d’esordio. Pure la trama gialla non è particolarmente originale, poiché, come ci fa sapere ben presto l’A., ricadiamo nel classico schema dell’omicida seriale per vendetta. Comunque si fa leggere con piacere e, nonostante il nome del colpevole ci sia rivelato quasi subito, la suspense tiene sino alla fine. Forse si è calcato eccessivamente la mano sulla visione omosex del mondo: hanno relazioni con persone dello stesso sesso due vittime, il medico legale e una degli agenti, in pratica una buona percentuale dei protagonisti. Tuttavia l’argomento viene trattato con serena obiettività e senza particolari prese di posizione nonostante che lo stesso Bryndza sia omosessuale e, alla vicenda principale, si intrecci pure un caso di pedopornografia che avrebbe potuto portare a caricare ulteriormente le tinte del racconto.
Invece ho trovato frustrante, irritante e un po’ ripetitivo il finale. I tragediografi greci hanno teorizzato l’importanza della catarsi finale, perché non si può abbandonare lo spettatore con il dolore e l’ansia patiti durante la narrazione. A quanto pare, invece, Bryndza si diverte a provocare le reazioni irate dei suoi lettori proprio quando essi giungono alle pagine finali dei suoi romanzi. Stia attento, perché la pazienza dei suoi lettori potrebbe terminare!
Comunque complessivamente si tratta di un romanzo gradevole anche se lievemente inferiore alla prova d’esordio.
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Un'appunto per gli editori: nella sinossi del romanzo si scrive che la detective sarebbe spiata dappresso da qualche misterioso individuo. Ma quella circostanza era presente ne "La donna di ghiaccio" e non in questo libro. Siamo sicuri che l'editor abbia letto tutto il romanzo?