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“Nessun bambino è al sicuro senza una patria...”
Secondo più che positivo incontro, per me, con la narrativa dello scrittore algerino Yasmina Khadra, che lo scorso anno mi aveva molto colpito con “Khalil”, romanzo che esplora la scottante tematica del terrorismo covato nelle periferie d'Europa tra le nuove generazioni di musulmani.
“L'attentatrice”, opera di quasi quindici anni fa, ci conduce invece nel vivo della questione palestinese, nel cuore di una terra santa e dannata al tempo stesso. Il protagonista, il dottor Amin Jaafari, è un arabo-israeliano che, agli occhi della società ebraica, incarna il modello più riuscito d'integrazione all'interno dello Stato d'Israele. Cittadino israeliano dunque a pieno titolo ed eminente chirurgo presso un ospedale di Tel Aviv, Jaafari non ha dimenticato le proprie origini che affondano nella polvere delle antiche piste seguite un tempo dalla sua tribù beduina, ma è come se, dinanzi al dramma senza fine del popolo palestinese cui anzitutto lui appartiene, il suo cuore si fosse in parte anestetizzato; come se i suoi occhi si volgessero altrove, distratti dagli agi e dai privilegi che la propria posizione sociale generosamente gli accorda, come se le sue orecchie siano divenute sorde ai venti di guerra perenne che sferzano i Territori occupati. Fino al giorno in cui quella stessa guerra non si presenterà con raccapricciante violenza direttamente alle porte del suo rifugio ovattato, mostrando per di più il volto della persona a lui più cara: sua moglie Sihem.
Attraverso una scrittura fluida e magnetica che coinvolge fin dall'inizio il lettore, Yasmina Khadra racconta la discesa all'inferno, senza possibilità di redenzione, di un uomo al quale, all'improvviso, viene strappata ogni cosa, dalla donna amata alla fiducia nella vita, dall'illusione della felicità ai sogni...
Sullo sfondo, una Palestina disillusa e il suo popolo, piccolo Davide a cui sembra non restare altra arma, per combattere il grande Golia del sionismo, se non la propria carne da immolare sull'altare dell'odio che ormai, sia da una parte sia dall'altra, travolge tutto e tutti. In mezzo ai massacri e alla follia generale, queste pagine cercano di comprendere le ragioni degli uni e degli altri, lasciando intendere che tra i due pericolosi estremi (ed estremismi) esiste forse una via di mezzo in virtù della quale nessuno dovrebbe essere più privato della dignità. Perché è proprio nel momento in cui questa viene calpestata che esplode la rabbia più cieca e distruttiva.
“Ho voluto che capissi perché abbiamo preso le armi, dottor Jaafari, perché dei bambini si gettano sui carri armati quasi fossero bomboniere, perché i nostri cimiteri traboccano, perché voglio morire con le armi in pugno... perché tua moglie è andata a farsi esplodere dentro un ristorante. Non c'è cataclisma peggiore dell'umiliazione. […] Il problema è che impediscono loro di sognare, dottore. Cercano di rinchiuderli in ghetti finché vi si annullano. Per questo preferiscono morire. Quando i sogni sono conculcati, la morte diventa l'unica salvezza... ”
Perfettamente caratterizzato il personaggio di Amin, la cui angoscia non avrebbe potuto trovare descrizione migliore; non da meno quello di Sihem, il cui fantasma aleggia inquietante nel corso di tutta la narrazione insieme a innumerevoli interrogativi destinati a restare in parte senza risposta.
Un romanzo coraggioso di un'intensità sconcertante, alla cui lettura si rimane avvinghiati dalla prima all'ultima pagina dove infine riecheggeranno, nonostante tutto, parole di speranza sulla possibilità di “reinventare il mondo che ti hanno negato.” Cinque stelle e lode!
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Commenti
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Questo è un romanzo bellissimo, secondo me, anche se molto duro! Certo, per avvicinarti all'argomento, potresti iniziare anche da qui. Ti consiglio poi anche gli splendidi romanzi di Susan Abulhawa! :)
Anche la tua recensione a questo libro esprime al meglio il suo contenuto.
Kanafani! Sai, purtroppo non ho ancora letto niente di suo e devo rimediare al più presto! Hai qualche suo titolo specifico da consigliarmi? Grazie :)
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