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struttura narrativa vincente non si cambia
Watson sostiene che io sono il drammaturgo della vita reale. Una certa inclinazione artistica vibra sempre dentro di me ed esige una rappresentazione con una sapiente regia. Certo, caro Mac, la nostra professione sarebbe ben sordida e grigia se a volte noi non disponessimo la scena in modo da esaltare e glorificare i nostri risultati. L’accusa rozza, il colpo brutale sulla spalla; come può essere giudicato un tale denouement? Ma l’illusione rapida, l’agguato sottile, l’intelligente previsione di eventi futuri, la prova trionfante di teorie audaci non costituiscono forse tutti questi elementi l’orgoglio e la giustificazione della nostra vita di lavoro?”
Ecco una sorta di programma, di manifesto di “poetica” di Holmes, al quarto ed ultimo romanzo delle sue avventure, pubblicato nel 1915.
L’opera si divide in due come nel primo romanzo, “Uno studio in rosso”: nella prima parte c’è la presentazione e la risoluzione del caso e nella seconda l’antefatto dell’azione criminale.
Nella prima, l’azione si svolge in Inghilterra, nella seconda, ci spostiamo in America. Come per “Uno studio in rosso”, anche ne “La valle della paura”, c’è un uomo che si lega indissolubilmente ad una setta, ad un’associazione che rivela poi intenti criminali e da cui cercherà di liberarsi, con tragici risultati.
La seconda parte è piena di azione, di suspence : regolamenti di conti, riti di iniziazione alla loggia criminale, messaggi intimidatori, imprenditori di ogni sorta che pagano un “tributo” per essere lasciati in pace..insomma una vera “camorra” di altri tempi.
La risoluzione del caso poliziesco, come ho già detto, si presenta nella prima parte del romanzo e mette in risalto le geniali abilità deduttive di Sherlock Holmes.
Giunta al quarto ed ultimo romanzo dedicato al famoso “consulente”investigativo come lui stesso si definisce, posso finalmente dire che considero superiori i primi due romanzi rispetto agli ultimi due. Riconosco la qualità dello scrittore quale uno degli inventori del genere giallo/thriller, per cui lo stile riceve da me il massimo della valutazione, insieme alla piacevolezza narrativa che non delude mai e che tiene incollati sulla pagine fino alla fine, tuttavia non mi sento di dare 5 stelle al contenuto poiché mi è sembrato, nella struttura e anche nell’ambientazione, una replica de “Uno studio in rosso”.
È come se Doyle non volesse diluire la ricostruzione del caso in un romanzo, ma considerasse l’azione “poliziesca” migliore, più confacente ad un racconto, per cui fa entrare in scena Holmes solo in una piccola parte, per poi dedicare il resto del libro dando prova delle sue abilità narrative, raccontando vere e proprie storie di casi criminali accaduti in America e che costituiscono la premessa, ben raccontata, dei fatti investigati a Londra o nelle vicinanze.
Anche ne “Il mastino dei Baskerville” viene dato poco spazio alla ricostruzione di Holmes, che compare solo all’inizio e alla fine del romanzo, il resto è un dettagliatissimo resoconto del dottor Watson. Solo il romanzo “Nel segno dei quattro” la ricostruzione del detective procede di pari passo con gli eventi narrati per tutta la durata della storia.
Chissà, forse Doyle, dopo aver “usato” le combinazioni possibili ricostruzione poliziesca/antefatto storico e antefatto inserito nella narrazione della ricostruzione del detective, abbia poi deciso di passare ai racconti delle avventure di Holmes, per me dei veri gioielli.
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Grazie mille a te.
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