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Misteri di famiglia
Se vi piace la narrativa “gialla” e trovate il filone contemporaneo troppo affollato e saturo al punto di sentirvi completamente disorientati, fate come me, risalite alla fonte, all’archetipo e non sbaglierete.
Il tempo per “discernere il grano dal loglio”, per dirla insieme a Dante, è davvero poco , perché rischiare?
Ecco perché quasi tutto ciò che leggo è considerato narrativa classica, come i grandi racconti di Sir ARTHUR CONAN DOYLE, che vedono come protagonisti il famoso “poliziotto non ufficiale” (gli ho fatto un grave torto a chiamarlo così, però…) Sherlock Holmes e il suo aiutante, il dottor Watson.
“Il mastino dei Baskerville” mi è piaciuto tantissimo, più de “Il segno dei quattro”, l’ho trovato più gotico, più misterioso, più noir. E’ stato pubblicato a puntate sulla rivista “Strand Magazine” tra il 1901 e il 1902.
L’ambientazione – caso raro, ma non unico- è fuori da Londra e, particolare che mi ha colpito, Sherlock Holmes compare solo nei primi e negli ultimi capitoli (in tutto 15): in realtà il dottor Watson raccoglie per lui tutti gli indizi e tutti i dati utili alla ricostruzione del misterioso caso e glieli manda tramite dettagliati resoconti in Baker Street, nel suo studio. E’ una strategia, questa, non soltanto utile a Sherlock Holmes per lavorare con obiettività , ma è utile anche all’autore per riscattare in qualche modo, secondo me, la figura del secondo, di Watson, che nei vari racconti e nelle varie avventure non si è mai mostrato di mente particolarmente brillante, rendendo ancora più notevole, se possibile, l’acume di per sé geniale di Sherlock Holmes.
Veniamo alla storia che, per rispetto del lettore, non rivelo se non tramite pochi tratti. Si tratta di indagare sui fantasmi del passato che da duecento anni incombono sulla ricca famiglia dei Baskerville, incarnati, a quanto pare, da un infernale, diabolico mastino che aveva ucciso già due componenti di questa sfortunata famiglia: Ugo, due secoli fa, e Charles, ai tempi della narrazione. Il medico ed amico del defunto Charles racconta la leggenda, diffusa tra i contadini della contrada, riguardante la maledizione dei Baskerville, dimostrando di “non essere superstizioso, ma non si sa mai” e dichiarando di aver visto delle impronte di un gigantesco cane vicino al cadavere del suo amico paziente. Il dilemma consiste però nel fatto che sul corpo del signor Charles non ci sono segni di aggressioni, l’uomo è morto in seguito ad un attacco cardiaco, probabilmente dopo aver visto la creatura infernale, la cui esistenza sfugge all’ordine della natura. Il racconto si complica sempre di più, con nuovi indizi che rendono più interessante ed intrigante questa storia “gotica”, riportataci dal dottor Watson, come sempre.
È un libro che lascio scoprire a chi vuole leggerlo, la prosa è asciutta, le descrizioni sono funzionali all’economia della storia, non ci sono passaggi noiosi o ridondanti, la ricostruzione dell’intera vicenda si presenterà solo alla fine del libro. Una avventura avvicente e mozzafiato.