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Uomini
Tre uomini, tre voci corali, una truffa ai danni dello Stato, una donna imprendibile dalla silhouette leggiadra e dalle doti di pattinatrice, un omicidio (una morte che è preannunciata sin dalle prime pagine ma che eppure trae in inganno perché resta costantemente sullo sfondo di ben altro oggetto, problema, pensiero cosicché impossibile è ritenere di trovarsi innanzi ad un romanzo noir o almeno ad un noir nel suo stile canonico), sono soltanto alcuni degli elementi che compongono “La pista di ghiaccio” di Roberto Bolano e sua opera prima.
Se infatti deciderete di avvicinarvi a questo scritto con la convinzione di approcciarvi “soltanto” ad un giallo, ne resterete delusi. Perché questo elaborato, redatto con una particolarissima formula narrativa e strutturato sull’intervallarsi di più voci narranti che ricordano la malinconia propria di autori quali Jean-Claude Izzo o Kazuo Ishiguro, che ricordano la composizione di “Sostiene Pereira” (per l’incipit di ogni breve capitoletto e ancor più il misticismo proprio) di Tabucchi, che ricordano il dolore dell’animo umano caratteristico di Pessoa e che ancora alternano vicende del concreto, della realtà con immagini visionarie, illusioni, fantasie, pensieri e pensieri che attanagliano il cuore e lo spirito di ciascun protagonista, destruttura completamente la formula del noir ovvero di quei passi-chiave che appartengono al genere e che consentono al lettore di ricostruire dell’arcano e di giungere alla risoluzione del caso che è posto, in questo caso, talmente in secondo piano da essere affrontato e, appunto risolto, dall’autore soltanto nella parte finale del libro, per dar al contrari spazio e priorità a stati quali la solitudine, l’umanità, i dubbi, i dolori, le paure, i desideri, le finzioni della mente.
Il tutto mediante un intrecciarsi di storie e di voci che si intersecano tra loro all’inizio confondendo perché difficilmente riconoscibili, di poi, rendendosi sempre più chiare e esclusive dell’io narrante di turno. Ciascuno ha una sua storia fatta di passioni e fragilità e la pista di ghiaccio finisce con l’esser la metafora di una società incapace di gestire i rapporti e gli affetti e dove, tra la massa, emergono uomini che ancora non hanno trovato il loro posto nel mondo, o che forse, addirittura, ancora non sanno chi sono e cosa vogliono.
Il risultato finale è quello di un romanzo d’esordio forte, profondo, introspettivo, malinconico e duro che fa riflettere e auto-interrogarsi e in cui emerge la maestria e la bravura di un autore scomparso, ahimé, a soli cinquant’anni nel 2003, ma che aveva tanto da dare e che per fortuna ci ha lasciato tanto da leggere.
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