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Di bellezza si muore
Al centro di un dedalo di stanze e corridoi, nel recesso più intimo di un palazzo in abbandono, cangiante e ceruleo, radicato alla nuda roccia di una scogliera, tra le onde dell’oceano e le altezze del cielo, un uomo in quarantena, ostaggio tanto del suo orgoglio, quanto ingenuamente innamorato della silhouette immaginifica di una indomabile pattinatrice, fa costruire una pista di ghiaccio, a spese dello stato che si vanta di rappresentare. Uno spazio di un realismo evanescente, onirico, che scivola lontano dalle atmosfere magiche di Marquez e accarezza i suoi personaggi fino a delinearne, con sfumata eleganza, i contorni. Certo c’è un omicidio, annunciato fin dalle prime righe, una vittima, un colpevole, ma tutto accade molto tardi, ben oltre la metà del libro, perché il giallo e la politica sono solo un pretesto per dare corpo a una struggente riflessione sull’amore e sulla bellezza. Sentimenti difficili, irrazionali, distruttivi che promettono fin da subito risvolti pericolosi, ma passioni brutali, esiziali di una grazia disarmante. Perché tutto Bolano racconta con una eleganza raccolta, con una prosa raffinatissima e delicata, che continuamente trascolora dalla concretezza della carne ai voli dello spirito.
Le voci di tre uomini si intrecciano senza soluzione di continuo, riprendono e riespandono piani temporali proteiformi e sdrucciolevoli, ricostruiscono “la cronaca di una morte annunciata”, disinteressandosi del loro stesso scopo. Quello che davvero conta e palpita è la storia dei sentimenti, delle passioni accese che vivono di una fiamma propria e fatua, tremano e si disperdono, per pura forza d’entropia, come lasciate in balia di un caso capriccioso che non risponde ad alcun principio di ordine. E allora la pista di ghiaccio si fa contrasto cromatico e termico per preservare in perpetuo la bellezza. Come in quella storia del cielo che per vincere l’inferno lo cristallizza nel gelo perenne, senza però riuscire a vincere la forza dirompente di una fiamma che continuamente minaccia la superficie.
Questo libro ha in sé la forza evocativa di un film di Myazaki (e non credo sia un paragone troppo azzardato), la placida, magmatica, densa lentezza di Sostiene Pereira, l’epopea di sudamericani smarriti e vagabondi sotto il cielo spagnolo, significativamente rappresentati sotto le tende di un campeggio, ma anche il malinconico abbandono di Ishiguro. Forse mentre si legge, non si ha davvero la percezione della bellezza del testo, ma una volta chiusa l’ultima pagina il lettore è pervaso da una nostalgia feroce, dal vuoto che prova solo chi, fino a un attimo prima, ha tenuto in mano il segreto di una mattina in un'aria di vetro.
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