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Recensione
TRISTE, SOLITARIO Y FINAL di Osvaldo Soriano – Rocambolesco, divertente, ironico e amaro al tempo stesso. Scritto nel 1973 dallo scrittore e giornalista argentino, rimane a tutt’oggi un libro di nicchia, ma si tratta di “un racconto perfetto”, come lo definì lo scrittore Giovanni Arpino, che sta a metà strada tra il poliziesco e le comiche in bianco e nero degli anni Quaranta. Un pastiche di generi che vede come protagonista il comico Stan Laurel, ovvero Stanlio, il famoso attore che fece coppia con Ollio.
Stan, ormai stanco e invecchiato, sale al sesto piano di un sudicio edificio di Hollywood per assoldare il detective privato Philip Marlowe, il personaggio uscito dalla penna dello scrittore americano Raymond Chandler. Finzione su finzione dunque: cinema e letteratura si incontrano nelle pagine di Soriano. Ma non è finita qui. Philippe Marlowe deve risolvere il seguente caso: perché i produttori cinematografici non ingaggiano più Stan Laurel? Perché nessuno lo cerca più? Perché dopo anni di successi è finito nel dimenticatoio?
Ad indagare sarà Philip Marlowe aiutato dallo scrittore stesso, Osvaldo Soriano, che entra in scena materializzandosi nel cimitero davanti alla tomba dove è seppellito Stan Laurel. Nell’incontro con il detective Marlowe, Soriano si presenta per quello che è, un giornalista argentino interessato a scrivere un libro sulla vita di Stan Laurel. Nel corso della storia i due tentano di rapire Charlie Chaplin, si scontrano con John Wayne, si intrufolano alla cerimonia di consegna degli Oscar, si nascondono tra una comunità hippies e danno il via ad un’incredibile e funambolica fuga che termina di fronte ad una scacchiera dove il re bianco viene sostituito da una pallottola calibro 45. Quello che rimane, al termine del libro, è l’atmosfera fosca da romanzo noir e l’attaccamento a questi due personaggi, Marlowe e Soriano, fumatori incalliti, amanti dei gatti, da sempre soli e solitari, perdenti ed ironici che, parafrasando Guccini, per il gusto della battuta si farebbero spellare.