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Alla ricerca del thriller scomparso.
New York, un video sgranato e girato dal cellulare mostra una donna all’interno della metropolitana che salva un ragazzo dalla caduta sui binari. Subito dopo il salvataggio, di questa si perde ogni traccia.
Tanti sono i giornalisti che si mettono alla sua ricerca, la notizia è ancora “calda” ed è perfetta da spendere per attirare l’attenzione del grande pubblico. Tra questi non manca Jordan McKenna, ex assistente procuratore distrettuale, donna non soddisfatta della propria vita, determinata e decisa, dedita alla ricerca di quei perché che ne hanno influenzato il percorso e adesso reporter a caccia dello scoop del secolo. Peccato però che per lei la donna che appare nella registrazione non sia affatto una persona ignota, anzi, si tratta niente di meno che di Susan Hauptmann, ex militare la cui esistenza è segnata da un rapporto molto conflittuale con il padre e facente parte di quel passato che la protagonista tanto desidera dimenticare e lasciarsi alle spalle. Perché Susan è scomparsa? Perché non se ne hanno più notizie da anni? Qual è il suo ruolo nel passato di Jordan e in quello di suo marito Patrick?
Sin dalle prime battute dell’opera è chiaro e evidente che “L’ultima volta che ti ho vista” tutto è tranne che un thriller. Si tratta infatti di una storia interamente al femminile che non presenta particolari elementi di originalità e dove l’obiettivo principale è quello di concentrare l’attenzione sul chi ci circonda e sul quanto effettivamente lo conosciamo. L’intero intreccio, si fonda, invero, sulla classica persona scomparsa che viene ricordata per caso dall’amica di un tempo e che per questo decide di far riaprire le indagini. A ciò si affianca il canonico poliziotto deluso e scocciato e una serie di misteri e segreti che non sono affatto intriganti, che al contrario cadono nell’ovvio, e che, con la speranza di rendere il libro più tangibile e concreto, vengono alternati a fatti di cronaca e politica facenti parte della nostra storia attuale. Al tutto si sommano prolissità e dettagli spesso superflui nonché l’ennesimo vano tentativo di mescolare i fattori proposti così da indurre il lettore in dubbio su quella che è invece una vicenda banale. A riprova dei fatti abbiamo oltretutto un finale fiacco, intuibile sin dalla prima parte del dattiloscritto, inadeguato e inappagante.
Se deciderete, pertanto, di leggere questo volume, non aspettatevi né colpi di scena, né atti di particolare suspense, né ancora, una struttura narrativa particolarmente solida o una scrittura chissà quanto erudita e geniale, perché in tal caso ne resterete delusi. “L’ultima volta che ti ho vista” non convince, non ha la struttura di un thriller e conferma la tendenza di Alafair Burke a “voler far troppo” a “voler mettere troppo” a discapito di tutto il resto.
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