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Ma per favore!
Il Collezionista – James Patterson, 1995.
Hai la febbre. Leggiti un bel thriller. Dicono.
Ti passa il tempo velocemente, è easy e ti diverti. Dicono. Come no.
La trama. DUE serial-killer (mica uno, eh! Siamo in America. Dodici apostoli? Almeno 25!), tanto simili, tanto amici, tanto depravati, si trastullano con le donne. Ovviamente giovanissime. Ovviamente bellissime. Meno ovviamente intelligentissime (anche se avrei qualcosa da eccepire, non so se con Patterson o con il suo traduttore).
Il primo (Visitatore Gentile) le violenta e le uccide (anche qui il premio “Come sei bravo con i nomi” non so se va a Patterson o al suo traduttore), il secondo (Casanova) le violenta e le “colleziona” cioè le rinchiude in luoghi vari e continua a disporne come meglio crede, fino a che le sventurate non infrangono qualcuno delle sue regole. Al che le (ri)violenta e le uccide.
Indagano l’ineffabile psicologo/poliziotto Alex Cross (questa non è la sua prima avventura, ma inspiegabilmente non mi è venuta voglia di saperne di più sul suo conto) e il fidato amico Sampson. E per mettere un po’ di tensione, fra le ragazze scomparse c’è pure Naomi, la nipote di Alex.
Ora.
Non voglio fare Alice nel paese delle meraviglie. Se scrivi una storia con un po’ di sesso (meglio se violento e depravato) il libro probabilmente vende. Se, di buon peso, ci metti un po’ di tensione sessuale fra l’investigatore e un altro personaggio (qui una vittima riuscita a sfuggire al diabolico stupratore, dopo… sì. La sospensione dell’incredulità è la protagonista assoluta della storia) probabilmente vende anche di più.
MA.
No. Trust me. NO.
Tutta la storia, le descrizioni, i personaggi sono talmente “tirati via” che davvero, l’unica cosa che resta è l’irritazione.
L’autore dichiara cose.
Che alcuni personaggi sono intelligenti. Poi si comportano da mentecatti, ma va be’.
Le donne sono bellissime (capelli di grano, seni scultorei, pelle di marmo, cosce d’oro o di ebano, a seconda), gli uomini atletici e/o eleganti. E di ogni personaggio, dal protagonista al dispensatore di panini, ci viene minuziosamente descritto come è vestito e acconciato, accessori compresi.
Tipo così: bussarono alla porta, entrò X. Indossava un pantalone nero, con camicia beige di seta, calzini scuri e mocassini neri, con fibbia dorata. I capelli biondi pettinati all’indietro, in onde composte, occhiali da sole – marca – orologio, profumo; aveva fatto peggio solo un altro che ho rimosso, che aggiungeva la marca del make-up delle signore. Il tutto ovviamente REITERATO per ogni entrata in scena di ogni personaggio, che mica son dei puzzoni che fanno i funghi dentro i vestiti. Questi si cambiano! Altrimenti il libro contava 50 pagine in meno. Manco i peggiori fanficciari di Caracas.
Infine, la trama “crime” e l’action.
Per conferire pathos, l’autore aggiunge punti esclamativi a fine frase. Che raffinatezza. Qualche compagno di classe di quelli bravi ci riusciva in seconda elementare. In quarta però la Maestra già diceva di evitarlo che era stucchevole.
E infine, la logica. O meglio la sua assenza, co-protagonista con la sospensione dell’incredulità.
In effetti. A chi affidiamo la sorveglianza della vittima sfuggita al carnefice dopo averlo visto in faccia? Allo psicologo.
Abbiamo trovato il nascondiglio segreto dei serial-killer. Chiamiamo la polizia? No andiamo io e te.
Mancavano giusto il cimitero indiano e “separiamoci”!
Ma mi faccia il piacere!
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:)
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