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Bande che odiano le donne
“Uomini che odiano le donne”, il primo volume della trilogia di Millennium, ha ottenuto un enorme successo di pubblico (e vendite). A queste condizioni, ai nostri tempi, il sequel s’impone.
A Stieg Larsson non manca l’intelligenza di puntare con decisione sul personaggio più originale e controverso del primo volume: il ruolo di protagonista passa dunque da Mikael Blomkvist (il giornalista responsabile della rivista Millennium, che ha risolto il mistero della famiglia Vanger) a Lisbeth Salander.
Ogni sfaccettatura di Lisbeth è particolare: l’aspetto è quello di una donna minuta che sembra un’adolescente, praticante del piercing, tatuata, che nel vestire e nel truccarsi tende al dark; la personalità è una miscela di forza e debolezza, di doti superiori e deficienze (dove le prime comunque prevalgono, a partire dal suo essere una hacker insuperabile); i comportamenti sono quelli di un “cane sciolto”, allenata a non rivelare le proprie debolezze, determinata e pronta ad usare la violenza (se occorre, o perché accecata dalla rabbia).
Ciò che manca nel primo volume della saga è il motivo: perché Lisbeth Salander è Lisbeth Salander?… Ciò che manca è la sua storia. E questo è, per l’appunto, “La ragazza che giocava con il fuoco”: la storia (o la gran parte della storia) di Lisbeth Salander, ciò che le è accaduto sin dall’infanzia e che, agli occhi del mondo, l’ha fatta diventare pericolosa, sociopatica, da confinare in uno spazio chiuso e controllato sin dall’età di dodici anni. Un evento drammatico per una ragazzina, che tuttavia, nel progredire del libro, si spiega sempre meglio quando ci si accorge che quella di Lisbeth Salander non è solo una drammatica storia personale, ma il crocevia di un intreccio che coinvolge piani diversi (non ultimo quello che comunemente definiremmo “ragion di Stato”).
Il secondo capitolo della trilogia non sembra avere la stessa efficacia del primo. Larsson aggancia il filo più “redditizio” nell’economia della storia di partenza – quello relativo alla figura di Lisbeth, come detto – collegandolo al fenomeno del traffico della prostituzione (dando così continuità al tema portante del volume precedente, quello della violenza sulle donne, stavolta praticato da bande organizzate). L’effetto è ancora una volta di vibrante e motivata denuncia, accompagnato dallo stile scorrevole già sperimentato in “Uomini che odiano le donne”.
Ma le imprese di Lisbeth, ancor di più che nel primo libro, la fanno sembrare una supereroina, rompendo l’equilibrio della sua personalità così ben costruita in precedenza e rischiando di renderla inverosimile. Nel convulso finale, la ragazza sembra avere riserve infinite…
Anche se è un finale solo sulla carta: mentre “Uomini che odiano le donne” è un libro a sé, “La ragazza che giocava con il fuoco” rimanda già, dalle ultime pagine, a un terzo capitolo che arriverà di lì a poco (“La regina dei castelli di carta”). La cosa può piacere a chi ha la tendenza ad “affezionarsi” a determinati personaggi, ma suona di sicuro poco genuina a quei lettori che nella concatenazione di libri “studiata a tavolino” traggono l’impressione di un’operazione regolata da intenti commerciali prima ancora che letterari.