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Da leggere con attenzione per non perdere il filo!
Joel Dicker è un giovane scrittore elvetico, nato nel 1985. E’ quindi poco più che trentenne ed ha già fornito ampie prove delle sue capacità: ne sono testimonianza quello che sino ad oggi è forse il suo capolavoro, “La verità sul caso Harry Quebert” del 2012, un best seller complesso ed enigmatico che ha rivelato il talento dell’autore ed ha rappresentato un vero e proprio caso letterario, e “Il libro dei Baltimore” del 2015, una saga familiare alla Thomas Mann forse meno coinvolgente del precedente ma con evidenti progressi stilistici. Ed ecco, pubblicato nel 2018, un terzo romanzo-fiume, un poliziesco a mio modo di vedere affascinante e raccontato nel modo giusto da un autore ormai smaliziato che tiene sulla corda, senza cedimenti e con un ottimo ritmo narrativo, i suoi affezionati lettori. Sono ben 700 pagine, che spaziano con continui sbalzi temporali dal 1994 (anno in cui è stato commesso un atroce delitto: hanno perso la vita l’intera famiglia del sindaco di Orphea e una ragazza che faceva jogging nelle vicinanze) ed il 2014 (anno in cui vengono a galla rivelazioni sensazionali, che portano ad una ripresa delle indagini). Il tutto accade a Orphea, una ridente cittadina immaginaria degli Hamptons, alle porte di New York: qui si organizza periodicamente un festival teatrale ed è proprio in occasione della manifestazione del ’94 che avviene il fattaccio. Il festival si ripete nel 2014 e, dopo una serie di eventi che costituiscono la trama del racconto tra i quali appunto la scomparsa della giornalista Stephanie Mailer, vi partecipano i principali indiziati dei delitti. La polizia (due sono gli investigatori, Jesse Rosenberg e Derek Scott, cui si aggiunge più tardi un terzo agente, Anna Kanner) brancola nel buio, i sospetti si concentrano su un gruppo di personaggi che avrebbero avuto interesse ad eliminare la famiglia del sindaco e svariati testimoni, vicini alla verità. L’intrigo è complicato e si deve all’abilità narrativa dell’autore se la tensione non viene mai meno. I capitoli si susseguono, spaziando dal 1994 al 2014, e via via sono i protagonisti che narrano in prima persona quello che è accaduto o che accade: tutti gli eventi sono abilmente concatenati, con particolari cui il lettore dovrà prestare molta attenzione per non perdere il filo. Attenzione messa a dura prova dalla lunghezza del romanzo, inusitata per un poliziesco. Da notare che nel racconto che fa da spina dorsale al romanzo, si possono individuare ed estrapolare almeno altri due filoni narrativi che potrebbero da soli formare la trama di altri due romanzi: la vicenda di Dakota Eden, una ragazza dall’adolescenza difficile che si riscatta riconquistando gli affetti familiari, e la storia drammatica di un tormentato rapporto adulterino tra il direttore di un importante giornale newyorkese, Steven Bergdorf, e la sua giovane ed avvenente impiegata, Alice, con esito truculento e finale surreale. A parte la prolissità sopra segnalata, una certa banalità nei dialoghi ed un finale a sorpresa forse troppo semplicistico (ad una conclusione dopo tanto scrivere si doveva pur arrivare!), il giallo di Joel Dicker è indubbiamente il risultato di un lavoro minuzioso e faticoso: nonostante l’imponente mole del libro, non ci si annoia a patto di prestare grande attenzione a quello che si legge e a non perdere (può capitare!) il filo del racconto.