Dettagli Recensione
Un inno alla mediocrità
Quando il libro mi è stato regalato il mio pensiero è subito andato al precedente Harry Quebert e al ricordo di una narrazione abbastanza scorrevole, di una trama discretamente intricata, di un'attesa del finale come succede nei gialli che si leggono tutti d'un fiato. Ben disposto quindi a questo nuovo round, ma già precocemente le mie attese sono state deluse tant'è che mi chiedevo abbastanza spesso se il libro attuale era stato scritto dalla stessa persona che aveva firmato il precedente. Pur riconoscendo che i Baltimore non è un libro giallo con la sua suspense ma una saga familiare, tuttavia la narrazione, i dialoghi, i personaggi si rivelano banali, stereotipati e inconsistenti. L'elemento che colpisce maggiormente è la grande quota di stupidità che sembra affliggere tutti: dai ragazzi dal comportamento incongruente e assurdo (quelli che fanno giocare a football un amico malato sapendo che avrebbe perso la vita sul campo) agli amori da fotoromanzo, dagli adulti in balia di ambizioni grottesche (chi vuole il suo nome su un campo di calcio per fare impressione sui figli e per pagarne il costo deruba di milioni di dollari il posto di lavoro con le ovvie rovinose conseguenze) alle impennate aggressive che portano alla galera e alla morte con una sbalorditiva superficialità. Tutto un groviglio di dinamiche che non hanno uno sbocco originale e in cui si salva solo il protagonista-narratore, meno sbandato degli altri e che alla fine si ricongiunge con l'amata in un quadretto patetico. L'unico aspetto minimamente accettabile è la scorrevolezza del testo che, se pure infarcito di banalità e di ripetitività (il romanzo poteva benissimo essere di 200 pagine anzichè il tomo solenne che è), si legge e si finisce per fortuna velocemente, con la speranza che l'autore riesca a cogliere la grande caduta di stile in cui si è ritrovato e che al prossimo tentativo si attrezzi meglio.