Dettagli Recensione
Un colto thriller filosofico
Laurrent Binet, classe 1972, nel 2010 si è aggiudicato il prestigioso premio Prix Goucourt du Premier Roman con il suo primo romanzo HHhH (Einaudi). Ora scrive La settima funzione del linguaggio.
La settima funzione del linguaggio è un gioco narrativo molto divertente ed appassionante, sia per l’idea che per lo stile del narrato. L’autore usa personaggi e fatti realmente esistiti, stravolgendo, però, il corso della storia con un ottimo esercizio di fantasia. E per far questo si serve del genere giallo; ottenendo, così operando, di tenere il lettore incollato alla lettura.
Si inizia dal febbraio 1980, giorno in cui Roland Barthes viene investito da un furgone di una lavanderia, appena dopo essere stato a pranzo con Francois Mitterand. Le conseguenze dell’incidente conducono il semiologo alla morte. Il commissario Jacques Bayard è convinto che non si tratti di una fatalità e inizia così una sua personale e serrata indagine tra intellettuali e politici. Ad aiutarlo c’è un giovane e mite professore di semiologia: Simon Herzog. I due, una coppia alquanto mal assortita, seguono la pista dell’intrigo internazionale. Incontrano persone straordinarie, quali: Umberto Eco, Michel Foucault, Jean-Paul Sartre, Gilles Deleuze. Ma non solo: spie russe, bulgare, giapponesi. L’obiettivo è di capire il perché della sottrazione dei documenti che Barthes aveva con sé. Forse determinante è stata la sua scoperta: la settima funzione del linguaggio, un’aggiunta alle sei funzioni linguistiche teorizzate da Roman Jakobson, che permetterebbe di evocare il più grande potere dell’oralità: quello della persuasione.
Il vero protagonista di questo testo è la storia del linguaggio, che qui diventa la metafora del potere assoluto, come dichiarato dallo steso Binet in una intervista, perché:
“Il linguaggio è l’arma del potere assoluto e la fantasia è il pensare di poterla possedere.”.
Un romanzo geniale e brillantissimo, ironico e satirico, quanto profondo e coltissimo.