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Questo non è un libro giallo
Attenzione questo non è un giallo, come la quarta di copertina e i blog in rete tentano di tratteggiare !
Certo un libro giallo fa notizia, suscita entusiasmo e spesso fa lievitare le vendite, tuttavia a lettura ultimata, credo sia possibile dare “un’etichetta” differente a questa opera. Per la precisione, la vicenda ruota attorno ad un omicidio ed alla ricerca di un assassino per cui l’elemento poliziesco di fatto esiste anche se, a mio avviso, l’impianto narrativo tende a sottolineare e privilegiare altri aspetti. Il libro assume la struttura di un articolo di cronaca nera in cui l’autore narra il dipanarsi della vicenda dai diversi punti di vista dei vari protagonisti, riuscendo a ricomporre in un unico quadro situazioni inizialmente frammentate.
L’autore ne “L’uomo che voleva uccidermi” si pone l’obiettivo di illustrare, anche in maniera abbastanza cruda e spietata, l’attuale società giapponese attraverso un’analisi sociologica e psicologica piuttosto accurata. Spesso infatti siamo portati a vedere il Giappone come un paese con caratteristiche differenti rispetto all’Occidente, ammirandolo per l’assenza di alcuni vizi così tipici del nostro mondo che sembrerebbero assenti a quelle latitudini. Invece Shuichi riesce a dimostrare diverse ed inquietanti similitudini: l’uso disinvolto di Internet ed il ricorso ai social network come strumenti per agevolare i contatti tra uomini e donne, la consumazione di rapporti sessuali facili alimentati dalla diffusione dei cosiddetti “love hotel” o “centri benessere”, all’interno dei quali relazionarsi in libertà ed intimità. Allo stesso tempo fotografa una società malata di solitudine: persone rimaste psicologicamente segnate nell’infanzia che trascinano i traumi nell’età adulta tentando di mascherare le proprie debolezze tra le braccia di una conoscenza occasionale, oppure giovani privi di valori che per sopravvivere alla noia passano le serate nei locali cantando karaoke e abbordando ragazze.
La visione d’insieme che ne deriva è piuttosto allarmante. Come viene stigmatizzato verso la fine del racconto dal padre della vittima “c’è troppa gente a questo mondo che non tiene a nessuno in particolare….La gente così è convinta di potersi permettere qualsiasi cosa e guardano dall’alto in basso quelli che invece perdono qualcosa, che nutrono desideri…”.