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"Che schifo, la giustizia"
Un delitto apparentemente archiviabile come un caso già risolto, l’assassinio opera in pieno giorno ed è riconoscibile dai presenti perché personaggio noto nella cittadina - si tratta del consigliere cantonale Kohler -, diventa il perno di una narrazione ambiziosa e articolata. Essa si apre in forma di memoriale con narratore un ormai fallito avvocato in preda ai rimorsi, confuso dall’abuso di alcool e fermo nel suo intento di fare a breve, con un altro omicidio, la necessaria giustizia che è finora venuta a mancare. Da Spät, questo il suo nome, conosciamo il primo livello narrativo di una vicenda complessa che lentamente andrà a delinearsi attingendo a successivi e indispensabili altri livelli narrativi. Una struttura articolata e farraginosa che alla lunga stanca e fa perdere il mordente all’azione, vero è, di contro, che chi legge Dürrenmatt non deve aspettarsi il classico modulo di genere, poliziesco o giallo, ma la sua perfetta antitesi. Durante la lettura, che dunque trae in inganno anche l’esperto lettore, illuso che con quest’opera ultima si stia addentrando in un bel noir, si fanno incontro tutti i temi e gli stilemi tipici dello svizzero. Colpisce il fatto che sul finire lo scrittore inserisca anche una sorta di autocritica, sapientemente celata nella finzione narrativa, rispetto a quest’opera che iniziata nel 1957, ripresa e conclusa nel 1985 per non darle l’identità di un frammento, non riuscì mai a eguagliare quell’ispirazione creativa che l’aveva appena abbozzata, non raggiungendo dunque il fulcro contenutistico che l’aveva animata virando per altre vie e assumendo l’aspetto di una summa di pensiero. E questo è in effetti il suo aspetto più interessante, al suo interno ricorrono riflessioni sulla giustizia e sulle probabilità che essa trionfi su una realtà contraddistinta da variabili tutte dettate dall’uomo e dalla sua imperfettibilità. La riflessione si estende all’ambito del possibile e del reale e dei loro orizzonti rispettivamente infiniti e molto limitati: “il reale è solo un caso particolare del possibile, e per questo è anche pensabile in altro modo”. Si giunge poi a negare le basi del diritto processuale penale affermando per esempio che non esiste un testimone obiettivo in quanto ogni persona percepisce un fatto a suo modo e lo rielabora secondo la sua memoria rendendolo dunque un fatto già diverso da quello oggettivo. Si prosegue inoltre con una critica caustica alla società elvetica, quella che oltre a produrre orologi di precisione, psicofarmaci, segreti bancari e neutralità perenne, è capace anche di sfornare uno pseudo uomo, un uomo artificiale, un prodotto di laboratorio che poi plasmato da principi educativi e da psichiatri altro non potrà fare che immergersi nel caos della vita dove essenziale è come nel biliardo, metafora su cui gioca a tratti la narrazione, sfruttare le sponde. In virtù di quanto detto l’opera è consigliabile ma non certo piacevole.
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"Giustizia" non lo conosco magari è meno piacevole degli altri,
immancabilmente puntuale comunque la tua recensione!
- “Il reale è solo un caso particolare del possibile, e per questo è anche pensabile in altro modo” -
Ho appena finito di leggere "L'orologiaio di Filigree Street" che mi appresto a recensire,
incredibile quanto sia calzante questa frase che hai tratto dalla tua lettura..
Non escludo di prenderla in prestito :)
Grazie Laura
e forse non avrei mezzi sufficienti per fruirne appieno,
però ho letto diversi suoi "polizieschi"
trovandolo un autore decisamente interessante nella sua originalità
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