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Ragni dal morso velenoso e "recluse" vendicative.
Sarà anche un giallo “poetico” e sarà anche con un uno pseudonimo maschile (Fred) che la scrittrice Frédérique Audouin-Rouzeau ama farsi conoscere (sono i due appunti con i quali Antonio D’Orrico, critico letterario del “Corriere”, liquida con un immeritato 3 l’ultimo romanzo della Vargas), ma l’impressione è che stavolta abbia esagerato e che “Il morso della reclusa” meriti ben altra attenzione. Come in altri gialli dell’autrice, l’atmosfera è vagamente surreale, soprattutto per merito di quello straordinario personaggio che è Adamsberg, l’enigmatico e pensieroso commissario capo dell’Anticrimine di un arrondissement parigino, e dei suoi collaboratori: un comandante geloso e subdolo, un tenente bulimico, un collaboratore ghiotto di “garbure”, una specie di zuppa tradizionale del Sud francese (cavoli, carne d’oca e fagioli), un altro appassionato di pesci e ragni, un altro ancora che ogni 3-4 ore cede a improvvisi colpi di sonno, per non citarne che alcuni. Per non far mancare niente alla curiosa atmosfera della caserma, ecco ancora Palla, un gatto che usa come giaciglio il coperchio di una stampante (sempre accesa per un opportuno riscaldamento) e una famiglia di piccoli merli nutriti doverosamente dagli agenti con lamponi e frammenti di torta. Ma l’indagine che tutti giudicano inutile ma nella quale il cocciuto Adamsberg crede invece fermamente riguarda le strane morti di alcuni anziani: sembrano dovute a cause naturali, ma un’attenta ricerca mette in evidenza come possibile causa il morso di un ragno, la Loxosceles reclusa, il cui veleno contiene un enzima necrotizzante, potenzialmente mortale. L’acume investigativo, la pazienza certosina, le riflessioni su particolari apparentemente insignificanti condurranno il nostro commissario a scavare nel tempo e focalizzare l’attenzione su un Orfanotrofio del secolo scorso nei pressi di Nimes, ove una banda di minori, veri e propri teppisti, vessava i bambini più piccoli (morsi di ragno!) per continuare poi, in tempi successivi, con azioni collettive di stupro. E la vendetta delle vittime d’un tempo ormai lontanissimo sarà ben meditata, studiata, architettata con certosina pazienza, per colpire decenni dopo con precisione chirurgica gli autori delle antiche nefandezze, rivelando nel dipanarsi della complessa trama del romanzo quanto sia abile la Vargas nel gestire una crescente tensione emotiva fino ad un inatteso colpo di scena finale.
Abile, ma già lo era in precedenti romanzi, nella rappresentazione del suo amato protagonista, il perplesso e apparentemente svagato commissario Adamsberg, perso nei suoi dubbi esistenziali e sempre pronto a cogliere in improvvise sensazioni che gli frullano come bolle nel cervello indicazioni suggestive che poi lo aiuteranno a risolvere dubbi e incertezze. Abilissima anche nell’individuare e mettere a fuoco, poco a poco, una relazione tra la Reclusa, intesa come ragno, ed il richiamo alle cosiddette recluse, un particolare storico nella Francia di secoli fa (ma non solo) che riguardava donne, in genere peccatrici o vittime di stupri, segregatesi volontariamente in celle anguste e inaccessibili allo scopo di redimersi.
Il romanzo è complesso, con divagazioni culinarie, riflessioni sulla vita privata dei principali personaggi, frequenti citazioni letterarie e adeguati approfondimenti sui comportamenti del ragno incriminato. Ma soprattutto resta indelebile la figura del commissario Jean Baptiste Adamsberg, “nebbioso, beccheggiante,indolente”, ma cocciutamente determinato a seguire il proprio infallibile istinto.