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Avventure spericolate di tre simpatici studenti.
Nonostante i frequenti riferimenti a problemi legali, che avrebbero potuto appesantire il testo e renderlo talora ostico per i non addetti ai lavori, John Grisham anche questa volta ha scritto un romanzo piacevole, più “legal” forse che “thriller”, condensando in 44 agili capitoli una storia che ha dell’incredibile, tiene con il fiato sospeso fino alla conclusione ed unisce simbolicamente due luoghi (“The Rooster Bar”, che è poi il titolo originale), lontanissimi tra loro, dove tutto ha inizio e tutto finisce. In sintesi è la storia di tre studenti dell’ultimo anno di una scuola privata di legge, Mark, Todd e Zola, un’avvenente studentessa di colore. Prossimi alla laurea, apprendono da un collega che la loro scuola, la Foggy Bottom(un nome, una garanzia!), come altre analoghe per le quali il dipartimento dell’Istruzione eroga sostanziosi prestiti agli studenti, nasconde manovre occulte di ambigui gruppi finanziari guidati da un miliardario truffatore della finanza, che oltre a gestire le scuole ne intasca gran parte dei proventi. I tre amici decidono di passare all’azione, si rendono conto che la loro scuola è solo un diplomificio che non darà seri sbocchi in campo lavorativo e si mettono in proprio esercitando abusivamente la professione e scegliendo i locali di un bar (il Rooster Bar) come sede operativa. Frequentano aule di tribunali (ovviamente con documenti falsi) e ospedali, in caccia di infortunati bisognosi di tutela, riescono ad attirare qualche sprovveduto, si danno insomma da fare in modo spregiudicato cercando di non farsi scoprire. Sono giovani, spensierati, disinvolti, e riescono ad ingannare ed a passare inosservati, facendola franca con colleghi e pubblici ministeri. Il diavolo però, come è noto, fa solo le pentole: le vere identità vengono a galla, l’abusivismo sta per essere scoperto. In attesa del redde rationem, riescono a smascherare il miliardario truffatore e ad imbastire loro stessi una gigantesca truffa ai danni di una delle sue banche di comodo, iscrivendo ad una class action nominativi fittizi ed intascando milioni di rimborsi. Sfuggono all’FBI che dà loro la caccia e…
Lascio ai lettori la sorpresa di un finale che solo la penna di un Grisham ispirato poteva immaginare.
Un bel romanzo, dicevo, che sottolinea il consueto stile di John Grisham, asciutto, essenziale, privo di fronzoli e divagazioni inutili. Contano solo i personaggi, le loro storie, i loro dialoghi serrati, i loro spostamenti in una Washington grigia, anonima, in cui la fa da padrone il Potomac che scorre indifferente ma che (lo si vedrà nei primi capitoli) impone alla storia un’impronta decisiva. E poi, oltre alla narrazione dei fatti, Grisham mette impietosamente in luce aspetti negativi e contradditori della società americana, a cominciare da trucchi, imbrogli, soperchierie nel mondo della finanza, pieno di personaggi ambigui che galleggiano tra frodi fiscali, falsi in bilancio e corruzione. Anche in campo universitario non è tutto oro quello che riluce, soprattutto nelle piccole università private, con insegnanti demotivati e diplomi elargiti troppo facilmente.
Ma l’autore calca la mano soprattutto nel campo dei diritti civili, quando narra le disavventure della famiglia di Zola, senegalese, costretta a lasciare gli Stati Uniti dopo essere stata rinchiusa in campi di detenzione in condizioni disumane assieme ad altri immigrati non regolari.
Tutto sommato un romanzo che non è un vero giallo, ma si legge come un giallo, senza momenti di stallo e senza sbavature inutili. Alla fine si è quasi costretti a fare il tifo per i tre spericolati e incoscienti falsi avvocati, tanto abili nel farsi beffe della legge quanto simpatici.