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"La morte ci rende tutti pazzi per un po'"
La vita è un palcoscenico dove tutti indossiamo il nostro costume di scena e interpretiamo un ruolo. Nessuno lo sa meglio di Joan Grice, la guardarobiera del Beaumont Theatre, abituata a cucire abiti che calzano alla perfezione. Perché il vestito è tutto, il vestito si anima dello spirito di chi lo indossa. Anche quando quel qualcuno non c’è più.
È così che alla morte dell’amatissimo marito Gricey, celebre attore e inseparabile compagno di vita, una folle idea comincia ad insinuarsi nella mente di Joan. Che nel grande armadio, nascosto tra le pieghe del cappotto e nella trama del completo che porta ancora il suo odore, si nasconda la voce e l’anima dell’uomo da cui non riesce a staccarsi. E quando vede il giovane Daniel Francis calcare la scena nel ruolo di Gricey, vestendone gli stessi panni e copiandone gli stessi gesti, sarà come rivederlo vivo, in un altro corpo. E crederci diventa l’unico, irrinunciabile modo per sfuggire al proprio dolore.
"La morte ci rende tutti pazzi per un po'" perché non è semplice elaborare il lutto e trovare il coraggio di lasciare andare chi si ama. E Joan si aggrappa al gin e a quella folle ossessione per scacciare la morte. Ma saranno proprio i vestiti, sinceri traditori, a rivelarle un terribile e intollerabile segreto. Forse l’uomo che aveva sposato non era chi lei credeva. Forse la loro vita insieme era tutta una recita.
È un romanzo di teatro, sul teatro. Nella scenografia di una Londra post-bellica, grigia, fredda e spettrale come non mai, tutti recitano. Gli attori, ad interpretare storie in cui si riflettono i loro drammi privati. Gli uomini, con le loro verità nascoste dietro menzogneri sorrisi. E i fantasmi delle ossessioni, che si aggrappano alla vita. “Una splendida simmetria, vita e teatro [...]; ma noi sappiamo che cosa succede quando compaiono le simmetrie, vero signore? Brutte notizie come se piovesse.”
Patrick McGrath si dimostra ancora una volta abilissimo a imbastire un romanzo psicologico in cui passioni e ossessioni si muovono in quel flebile confine tra normalità e follia, per mettere in scena la recita della vita. La prosa è limpida, sicura, scorrevole. Le atmosfere inquietanti e rarefatte. Gli spunti di riflessione pregevoli.
Lo ritengo quindi un buon libro eppure mentirei se dicessi che mi ha convinto del tutto e devo ammettere di essere riuscita a procedere oltre le prime pagine solo al terzo tentativo di lettura. Immersa nella nebbia delle sfumature della mente, la trama appare come un labirinto di sentieri di cui non riusciamo a comprendere appieno il disegno. Il teatro, il senso di perdita, la lotta antifascista nel 1947, il tradimento, la follia, ogni spunto è un sentiero di per sé interessante, ma ho trovato davvero faticoso procedere senza comprendere appieno la direzione. Ben scritto ma emotivamente poco coinvolgente, freddo. Proprio come le gelide atmosfere così ottimamente descritte.
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Un abbraccio,
Manuela
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