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UNA DOSE MORTALE DI ARSENICO
Una domenica d’estate nella bella villa di campagna dei fratelli Donge, Bébé, moglie di François, con gesti fermi e al tempo stesso naturali serve il caffè al resto della famiglia, la madre, la sorella, il cognato e quando arriva al marito addiziona la bevanda oltre che con la solita zolletta di zucchero anche con una dose mortale di arsenico. François, chimico, avverte il sapore inconsueto del caffè e in preda alle prime convulsioni corre nell’edificio della casa, in bagno, si procura il vomito, ha riconosciuto i sintomi dell’avvelenamento. Agisce con lucidità e riesce a farsi soccorrere dal fratello mentre in un’atmosfera statica in giardino tutto prosegue come al solito: i bambini giocano, la cognata è distesa mollemente sotto l’ombrellone, Bébé è imperturbabile.
Si avvia così quello che è il fulcro del romanzo, François, salvatosi, mentre la moglie è in attesa di giudizio , ripercorre i loro dieci anni di matrimonio restituendo al lettore la verità su Bébé e pervenendo alla ragione ultima di quel suo gesto. Si viene così trascinati abilmente dalle parti del torto, del tentato omicidio, pronti, in fondo anche noi a riconoscere attenuanti, a perdonare, a capire e infine a sperare in un verdetto favorevole. Ciò che suscita maggiore sconcerto è che Simenon mantiene una linea dura offrendoci nelle splendide pagine finali una lettura precisa della realtà, coerente, giusta infine, se si vuole mentre si apre un altro scenario di disperazione individuale. Non certo fra i migliori Simenon, rimane comunque una lettura gradevole.