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L’ultimo caso del Commissario Verhœven
Parigi, la bella Anne Forestier s’è recata per un acquisto alla galleria commerciale Monier, ma un banale incidente (la stilografica che perde inchiostro nella borsa) la costringe ad entrare rapidamente in una toilette pubblica. Qui, per sua disgrazia, incontra due rapinatori, proprio nel momento in cui essi indossano il passamontagna prima di entrare in azione. La donna li vede in faccia e, perciò, viene selvaggiamente picchiata, trascinata sino alla gioielleria teatro della rapina e, poi, quando cerca di fuggire, fatta bersaglio di ben tre colpi di fucile a pompa. Si salverà miracolosamente, ma è sfigurata ed in pessime condizioni di salute. Per la Polizia potrebbe essere un brutale caso criminale come tanti altri se la donna da alcuni mesi non fosse l’amante del Commissario Camille Verhœven, il piccolo poliziotto che reca in sé ancora le piaghe psicologiche per l’atroce assassinio dell'adorata moglie Iréne, incinta del suo primo figlio.
Il “caso”, quindi, diverrà una sua guerra personale contro i rapinatori che continuano a minacciare la vita di Anne in ospedale e a casa. Porterà avanti l’indagine, che s’è fatto assegnare ingannando i superiori, senza scrupoli, senza pietà per alcuno e senza neppure osservare le cautele e i regolamenti che dovrebbero guidare la sua attività di tutore dell’ordine. Ma l’obiettivo di questa caccia è veramente, Hafner, il criminale che Anne ha identificato come autore della rapina e del pestaggio? E la preda chi è: quel delinquente, Anne o, forse, Camille stesso? E Anne è veramente Anne?
“Camille” è il terzo romanzo che vede come protagonista il Commissario Verhœven, ipotrofico e geniale poliziotto della Sezione Criminale di Parigi. Ufficialmente dovrebbe anche essere l’ultimo della trilogia.
Il libro appare subito come un cocktail tra il primo (Iréne) ed il secondo romanzo (Alex) della serie. Dal primo attinge tutti gli ingredienti ed i personaggi che avevano dato corpo a quel dramma e ne è anche la logica prosecuzione. Dal secondo, invece, riprende lo schema narrativo fatto di scatole cinesi e di continui rovesciamenti di fronte che spiazzano il lettore.
La storia, mostrata da diversi punti d’osservazione, procede fluida e senza intoppi. Fortunatamente per gli stomaci meno avvezzi agli eccessi, la brutalità dei primi due romanzi è mitigata, nonostante il pestaggio iniziale e un paio di crudeli scene di tortura minuziosamente descritte.
Lo stile narrativo è volutamente scarno e sciatto, disadorno, quasi affrettato. All’A., immedesimato nei suoi personaggi, preme star dietro al frenetico susseguirsi degli eventi, più che fornire una suggestiva descrizione delle vicende e degli ambienti. In particolare ogni accenno di gradevolezza di linguaggio scompare nei brani, intercalati con gli altri senza soluzione di continuità, in cui a parlare ed a descrivere le sue mosse e i suoi piani è il rapinatore che resta, comunque, rigorosamente anonimo sino alla fine.
L’intreccio è certamente ben congegnato anche se, ad un attento esame, appare piuttosto artificioso e forzato. Però procede in modo così febbrile e intricato da lasciar poco tempo al lettore per riprendere fiato e per riflettere sulla plausibilità di ogni situazione.
Comunque, nonostante che tutto complotti per trascinare il lettore nella frenetica corsa verso la conclusione del dramma, mi sono sentito meno coinvolto rispetto ai due precedenti volumi. A mio avviso in questo romanzo il filo che lega il narratore all'ascoltatore è meno solido e resistente. Non si sente un desiderio irrefrenabile di girare le pagine e di giungere alla conclusione, qualunque essa sia. Si è trasportati dalla storia, sì, ma l’attenzione non di rado fugge altrove e non si fatica a chiudere il volume per staccare.
Mai come in questo caso, tuttavia, il finale è essenziale per formulare un giudizio complessivamente positivo sull'opera. Infatti è nelle ultime pagine - dove i nodi vengono sciolti e dove, in una sorta di melanconica catarsi, tutto giunge al suo mesto epilogo – che la storia prende quota consentendo di rivalutare l’intero romanzo. Come nei libri precedenti, peraltro, è l’umanissima figura di Verhœven a tenere insieme la storia. Di questa ne è il protagonista assoluto, al punto da togliere la scena anche alla vicenda poliziesca presa a sé stante. E’ un vero peccato che Lemaitre abbia deciso di porre la parola fine a questo personaggio così singolare nel panorama del romanzo poliziesco. Peraltro, senza svelare troppo del finale, vale in consueto “mai dire mai”: esistono tutte le condizioni perché un domani, magari neppure troppo lontano, si possa ritrovare il piccolo Commissario impegnato a risolvere un nuovo rovello investigativo.