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Distruggere ciò che non si sa creare.
Il Miglio Verde - Stephen King, 1996
(Lieve Spoiler)
Uscito a puntate come “storia da letto” nel 1996 e poi in volume unico l’anno successivo “Il Miglio Verde” è il romanzo di King – per ora – che mi ha fatto più paura.
Una paura fredda e gelida, molto lontana dal sangue e dai mostri a cui siamo abituati.
Una paura “a freddo”.
C’è l’isolamento, c’è il male stupido, meschino e banale, c’è una figura enorme e quasi muta, goffa e salvifica che nella migliore tradizione umana viene sacrificata e c’è un male “grosso” crudele e quasi demoniaco, che però, alla fine è meno spaventoso di quello piccolo e meschino di cui sopra. Forse perché è associato alla follia, ma i Percy i Brad, le miss Ratched (impossibile non pensare a “Qualcuno volò sul nido del cuculo di Kesey), i “Re della montagna di merda”, fanno più paura dei Billy Wharton, che, in fondo, sono solo folli e turpi assassini e stupratori. Nello stesso modo in cui gli stupidi fanno molta più paura dei cattivi.
Il racconto è portato avanti su due piani temporali da Paul Edgecombe. Anziano vecchietto (ma solo alla fine scopriremo quanto – e perché così – anziano) “ospite” in una casa di riposo che scrive il suo passato e in particolare una storia avvenuta nel 1932, quando era capo delle guardie del braccio della morte - il Blocco E - nel carcere di Cold Mountain.
La vicenda si apre con l’arrivo di John Coffey (“come il caffè, solo che non si scrive alla stessa maniera”) un enorme uomo di colore, taciturno e forse un po’ ritardato, colpevole dello stupro e dell’omicidio di due bambine di nove anni.
Non mancano i casi raccapriccianti nel Blocco E, ma questa storia è davvero terribile. John Coffey, però, appare come un detenuto modello, silenzioso, tranquillo, con un’infantile paura del buio. Nel Braccio, in attesa di “Old Sparky” (“la vecchia scintillante”, ovvero la sedia elettrica), ci sono anche Delacroix, detto Del, “Capo”, “Presidente” e i carcerieri, Paul, il fedele Brute (detto Brutal, probabilmente il mio personaggio preferito, come tutti quelli di poco slancio, ma concreto buonsenso), Harry, Eddie e il nuovo arrivo, Percy.
Con questa copiosa messe di turpi assassini, il personaggio di gran lunga peggiore è Percy.
Per molti aspetti “Il Miglio Verde” è una storia di bullismo e di banalità del male. Di individui meschini e limitati che scaricano la mediocrità di cui sono vagamente consapevoli sui i loro sventurati sottoposti. Percy prova piacere a tormentare i detenuti e si accanirà in particolare su Del e sul topolino che è riuscito ad addomesticare nelle sue ultime giornate. Proprio grazie a questo topino (e complice un’infezione urinaria di Paul) scopriamo lo straordinario potere di John Coffey: l’uomo è in grado di “assorbire” malattie e traumi dagli altri e disperderli, curando i malati.
Paul comincia ad avere dubbi sulla colpevolezza di John, dubbi che poi troveranno conferma nella scoperta del vero colpevole, Billy Wharton, folle e violento assassino appena giunto al Blocco E, condannato per un altro delitto.
Ahimè la scoperta della verità non potrà cambiare le cose e la vita scorrerà in attesa della morte stabilita per tutti.
Raccontare il come questa morte è stata stabilita è la grandezza di King in questo romanzo.
Il freddo e paradossale cerimoniale delle esecuzioni capitali.
De Andrè cantava il “girotondo intorno al letto di un moribondo” qui il girotondo è intorno a qualcuno che verrà messo a morte senza essere moribondo. Con una ritualità precisa – che va “provata” – con una parte specifica per ognuno, con una coreografia che deve muoversi perfettamente e in sincrono. Come un balletto.
Chi ha visto il film (e non stento a crederlo, perché anche le pagine sono sconvolgenti) descrive come particolarmente spaventosa l’esecuzione di Delacroix (Percy, per vendicarsi, manomette la sedia elettrica in modo che il condannato abbia un’agonia lenta e dolorosa e che – di fatto – finisca lentamente e letteralmente cotto vivo). Io però ho avuto davvero paura e orrore per la scena del giorno prima: quando viene “provata” la morte di Del. Mentre alcune guardie distraggono il detenuto ed assistono ai giochi del suo topino ("Un sorriso gli illuminò il volto, così subitaneo e semplice nella sua felicità che provai una piccola fitta al cuore per lui, a dispetto del crimine orrendo di cui era responsabile. Che razza di mondo è quello in cui viviamo, che razza di mondo!") le altre “provano”: la passeggiata, le dichiarazioni, le implorazioni, l’arrivo da Old Sparky, il sistemarsi sulla sedia, bloccare braccia e gambe etc. Con un protagonista ormai specializzato nell’interpretare il condannato "Mai il vecchio Toot era così vivo come quando faceva il morto." Ecco, queste pagine, più di tutte quelle in cui King racconta la vecchiaia, la magia (pericolosa) della scrittura, l’amore, l’amicizia, la follia, la brutalità, sono in assoluto – per ora – le più spaventose, raggelanti e raccapriccianti della mia carriera di lettore. Stanno a pari (a livello visivo) solo con la vecchina con l’orologio senza lancette ne “Il Posto delle Fragole” di Ingmar Bergam.
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Commenti
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Shining invece, ho visto prima il film di leggere il libro e devo dire che concordo. Nella profonda diversità delle due storie sono entrambi capolavori immensi.
Al momento ho solo visto il bel film che è stato tratto da questo libro. Comprendo la tua "paura fredda e gelida".
Presto vedrò anch'io il film!
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