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Ombre dal passato
Tutto scorre in casa Blackwood.
Niente e nessuno può turbare l'equilibrio della loro routine quotidiana.
Il silenzio riveste come edera le facciate esterne della casa, e un giardino rigoglioso protegge da sguardi indiscreti la loro mesta armonia.
Due volte a settimana Mary Katherine (detta Merricat), si reca in paese per fare scorte di alimenti facendo tappa nel solito bar mentre il caro vecchio zio Julian, viene accudito amorevolmente da Constance, sorella maggiore di Merricat, che spinge dignitosamente la sua sedia a rotelle e mantiene in vita la cucina e la dispensa di famiglia.
Un pomeriggio a settimana Helen Clarke passa per il tè pomeridiano.
Un'abitudine, questa, consolidatasi nel tempo.
Anche Jonas il gatto si adegua pigramente ai ritmi della casa seguendo Merricat dappertutto o cacciando qualche coniglio smarritosi in giardino.
A casa Blackwood ognuno ha il suo posto ed il suo ruolo. Un ingranaggio perfetto che si accompagna allo scorrere del tempo.
In realtà, in questo specchio di perfezione, c'è una crepa.
Questa casa imponente, posizionata ai margini del paese, svetta fiera tra le altre, orgogliosa della sua storia passata e dei suoi illustri ex abitanti. Ex abitanti. Già.
In questa casa, adesso, vivono solo i sopravvissuti, tutti gli altri sono morti anni addietro sterminati dall'arsenico dopo un pranzo luculliano.
Constance, la prima indiziata, è stata assolta dall'accusa ma il mondo esterno non ci vede chiaro e continua ad additarla costringendola ad una vita da agorafobica. Merricat, invece, si rifugia "sulla luna", chiusa in un mondo distorto e stravagante.
Ma l'eco delle voci dei monelli del paese giunge comunque alle loro orecchie serpeggiando attraverso le finestre aperte. È un ritornello fanciullesco, maligno, accusatore, persecutore:
"Merricat, disse Connie, tè e biscotti: presto, vieni. Fossi matta, sorellina, se ci vengo m'avveleni. Merricat, disse Connie, non è ora di dormire? In eterno, al cimitero, sottoterra giù a marcire."
Gli "insani" equilibri di questa famiglia, si incrineranno in un grigio giorno di pioggia con l'arrivo inaspettato dell'avido cugino Charles.
Un romanzo breve ma ben congeniato, che lascia intravedere la follia senza mai chiamarla per nome. Nessuno orrore apparente, nessuna scena di sangue o di morte, nessuna presenza sovrannaturale, solo un ricordo sbiadito che filtra dal passato attraverso i discorsi. Le sottili perversioni dei protagonisti, riescono a colorare il racconto con elementi psicologicamente interessanti, trasmettendo quel senso di profonda inquietudine fino alla fine. In poche pagine, i personaggi vengono fuori perfettamente: caratteri, manie, angosce, legami veri. La Jackson crea due mondi paralleli, i Blackwood e il mondo esterno.
Due mondi che si sfiorano continuamente senza mai incontrarsi faccia a faccia, ma quando questo avviene è l'inizio della fine.
La Jackson, di cui già ho potuto apprezzare L'incubo di Hill house, è abilissima a costruire dal niente una storia. All'inizio si ha quasi l'impressione di perdersi e di non comprenderne il filo logico ma andando avanti con la lettura tutto torna perfettamente al proprio posto come ingranaggi di un orologio. Un piccolo gioiello, un thriller psicologico non trascurabile.
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Commenti
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Grazie. Ciao,
Manuela
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Non conoscevo assolutamente questo libro. Per me è dunque una segnalazione.