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in costa azzurra
Nel suo personale giro di Francia, il girovago Maigret si spinge sempre più a sud: eccolo muoversi tra Antibes e Cannes, dove è stato spedito per indagare (o forse in primo luogo per troncare e sopire) le modalità della morte di William Brown, un ricco australiano che si sospetta fosse collegato ai servizi segreti. Ben presto il commissario scopre che le circostanze sono un po’ diverse, tanto che non solo l’uomo vive in una villa modesta con due donne mediocri, ma si avventura sovente nell’infima taverna del titolo sito nella zona portuale di Cannes: è qui, tra la vecchia e sfatta Jaja e la giovane prostituta Sylvie che sta la chiave del mistero di un omicidio lontano dalle spiegazioni più ovvie. Il defunto somiglia fisicamente a Maigret, il che gli offre da parte dell’investigatore una simpatia in un certo modo accresciuta dalle sue scelte di vita specie in confronto all’impeccabile – almeno all’apparenza – figlio Harry che ne ha ereditato il ruolo nella florida azienda di famiglia. Simenon tesse con abilità una vicenda che pare avviarsi come un intrigo internazionale e invece si rivela essere un delitto di passione, ma alcune figure restano abbozzate (Gina e la madre) mentre risulta eccessivo lo spazio dato alle scene ambientate nel retrobottega del Liberty Bar: è vero che l’attenzione dello scrittore è concentrata soprattutto nella descrizione del degrado nonché della vitalità che vi si può lo stesso trovare, ma il peso sullo smilzo numero di pagine è comunque sovradimensionato. All’opposto, è indovinato il ritratto ai limiti della macchietta dell’azzimato ispettore rivierasco Boutigues, peraltro ulteriore tassello di quella Costa Azzurra rappresentata come abitata da ricchi e/o vanesi che la percorrono quasi fossero in una bolla staccata dal reale. Il fastidio fisico provato da Maigret per il sole, il caldo o i colori si traduce in una rappresentazione critica – subito torna alla memoria ‘Senza via di scampo’ - che rende ancora più malmostoso il personaggio.