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Atmosfere cupe e risvolti horror
E' un bel romanzo, questo di Simenon, un'immersione totale in atmosfere cupe e in animi non meno oscuri.
Lo scrittore entra nella mente di Michel Maudet, giovane squattrinato, ambizioso e opportunista, scandaglia ogni sua più riposta sensazione (di veri e propri sentimenti, nel caso specifico, è difficile parlare), e riesce persino a destare la comprensione, se non l'empatia, del lettore nei confronti del protagonista con certe riflessioni buttate giù candidamente:
“Non era lui che se ne andava, che abbandonava sua moglie o un luogo familiare; erano le cose a staccarsi bruscamente da lui. E lo facevano assumendo all'improvviso, nel momento più inaspettato, un volto indifferente”.
A chi dare la colpa se le cose, dopo “il tempo necessario ad assorbirne in qualche modo la sostanza”, assumono l'inconsistenza del ricordo?
Eppure la rinuncia alle persone che crede di amare sembra a Michel, spinto in avanti da un richiamo interiore, un imperativo a cui non si può sottrarre. E sarebbe da ottusi, secondo il suo punto di vista, definirlo egoista e senza cuore.
Analoga sorte toccherà a Dieudonné Ferchaux, l'uomo della svolta, figura carismatica, almeno nella prima parte, pervasa da quel disincanto tipico “di chi ha visto tutto e tutto conosciuto”.
La parabola discendente del rapporto tra i due, spiriti affini che si riconoscono, rappresenta il fulcro del romanzo ed è tratteggiata con realismo e acutezza psicologica.
Proprio come avviene in certi rapporti amorosi, soccomberà chi dei due si lascerà trascinare dall'irrazionalità dei sentimenti.
Degni di nota alcuni personaggi secondari, resi con pochi significativi tratti attraverso episodi, frasi, immagini di straordinaria efficacia evocativa.
La narrazione procede spedita, seppure talvolta un tantino prolissa, e nella parte finale assume risvolti horror che ricordano le migliori pagine di Edgar Allan Poe, mentre ogni cosa sembra seguire il suo inesorabile corso, già scritta, già decisa dalle forze inconsce che muovono le azioni umane.