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Ritorno al passato
Piccola città, bastardo posto: la provincia, con il suo carico di grettezza e mediocrità continua ad attrarre Simenon in modo irresistibile, così vi spedisce il suo investigatore appena può. Il pretesto è un biglietto anonimo che predice un omicidio durante una messa: Maigret viene catapultato indietro nel tempo, perché la chiesa si trova proprio nel paesino dove è nato e cresciuto. Arriva, ma non può far nulla: la contessa di Saint-Fiacre muore in modo misterioso mentre sta pregando. La donna era stata un suo mito infantile perché il padre del poliziotto lavorava come soprastante al castello, ma i decenni trascorsi hanno cambiato molte cose: la casata è in rovina, l'erede fa il gaudente in città e la nobildonna passa da un segretario/gigolò all’altro. Sotto il cielo plumbeo e freddo di novembre, Maigret va alla ricerca di un appiglio concreto districandosi fra i mormorii di paese, ma questa volta esagera nel lasciarsi scorrere gli avvenimenti addosso: a parte qualche dettaglio di secondaria importanza, non è lui bensì Maurice di Saint-Fiacre, ricomparso dopo la morte della genitrice, a mettere a confronto i possibili sospetti (il segretario, il nuovo soprastante con il figlio e ovviamente se stesso) facendo uscire allo scoperto il colpevole dopo averlo lavorato sul piano nervoso. L’ambientazione nel maniero consente all’autore un omaggio a Walter Scott, citato in maniera esplicita e rievocato negli accenni gotici che incombono sulla cena decisiva attorno a un tavolo dove ognuno ha qualcosa da farsi perdonare. La vicenda si rivela così costruita con efficace ingegno ed è ravvivata da una serie di figure disegnate con gran cura sia per quanto riguarda i protagonisti, sia (o forse anche di più) per quelle di contorno: la brutta locandiera Marie Tatin, vecchia compagna di giochi che non riesce a dare del tu al commissario, il parroco rigido e sfuggente o ancora il piccolo monello Ernest e la sua avida madre.