Dettagli Recensione
Ho il permesso.
Questo è difficile.
(Si tratta di una storia vera, di cui racconto diversi dettagli e parte dell’epilogo. Essendo reale, il termine “spoiler” mi pare fuor luogo).
Viene banalmente definito “romanzo horror” e vorrei anche vedere. Quello che non sempre viene chiarito è che si basa (purtroppo) su una storia vera che l’autore rimaneggia al minimo.
Anni ’60, stato dell’Indiana. Comincia una lunga estate senza scuola per il solito gruppo di ragazzini che abbiamo imparato ad amare con “The Body” di King (da cui il film “Stand by me”).
Ore larghe e vuote, amici, festicciole, fuochi d’artificio, qualche avventura e qualche trasgressione. Proprio all’inizio di questa estate piena di promesse, pronte ad essere deluse, David, il nostro protagonista incontra Meg. Che è “nuova”, carina, simpatica ed anche abile a fare cose “da maschi”, come catturare gamberi con una lattina.
David apprende poco dopo che Meg e la sorellina minore Susan sono ospiti di Ruth, sua vicina di casa e madre di due dei suoi più cari amici. I genitori delle ragazze, lontani parenti di Ruth, sono morti in un incidente stradale e la donna accoglie le due sorelle. Ruth è una sorta di “mito” per David perché non è una madre assillante ed apprensiva e “copre” i piccoli segreti dei ragazzi, permettendo persino loro di bere qualche birra a casa sua.
Ruth, invece, è una donna pericolosa, una sociopatica silente, mai ripresasi completamente dall’abbandono del marito e che, per qualche motivo, inizia a sviluppare un odio viscerale per le ragazze e in particolare per Meg. Comincia con piccole punizioni, castighi e vessazioni, che velocemente diventano torture. Ma non basta. Ruth “dà il permesso” ai suoi figli e ai loro amici di partecipare alle punizioni di Meg e successivamente, di impartirne a loro volta. Arriva a permetterne lo stupro e pone come unica condizione che i due figli non procedano “uno dopo l’altro” perché sarebbe incestuoso. Non sarà la cosa peggiore.
La storia finisce male, malissimo esattamente come è finita malissimo la storia vera.
La lettura è disturbante, non c’è bisogno di dirlo.
Spesso Ketchum viene considerato morboso o “compiaciuto” di quello che (de)scrive.
In realtà, secondo me, quello che fa Ketchum è semplicemente negarti il minimo “sconto”, sia pure una boccata d’ossigeno o uno spiraglio di luce. Né si capisce perché dovrebbe, in fondo.
Mentre leggevo non ho potuto fare a meno di ripensare all’”Esperimento di Stanford” di Zimbardo (giovani universitari di ottima estrazione, ingaggiati per un “esperimento” in cui vengono divisi arbitrariamente in “carcerati” e “carcerieri”. Esperimento sospeso dopo cinque giorni dagli stessi organizzatori per l’aggressività e la violenza, assolutamente fuori controllo, che erano scaturite).
Ketchum dice questo.
Che se un’autorità qualunque (in questo caso un adulto) “dà il permesso” dei normali ragazzini, tanto come dei normali universitari, si trasformeranno in animali (per brevità, molto peggio, in realtà).
E per tutto il tempo che leggi tu stai lì e speri che qualcuno li fermi. Che qualcuno SI fermi.
Però non lo fa. E non lo fa neanche chi vorrebbe, perché “c’è un permesso”, un’autorità ha dato un benestare, ci sarà un motivo, qualcosa succederà. Come non lo faresti neanche tu?
Il “disturbo” e il “morboso” di Ketchum è proprio questo.
Ti dice com’è stato in quel preciso, orribile caso e anche com’è in genere, di solito, spesso, gli esempi non mancano.
È un libro che fa piacere mettere giù e cercare di ricondurre ai canoni di “storia horror” per non pensarci. Ma anche qui l’autore non è che te lo permetta più di tanto.
Indicazioni utili
- sì
- no
Inutile dire che l'effetto è assolutament disturbante.