Dettagli Recensione
Un crimine di guerra
Quando un autore di thriller crea un personaggio carismatico, nel lettore si innesca un meccanismo particolare, perché si crea sia aspettativa per il nuovo caso che, di libro in libro, è al centro della scena, sia curiosità per la vita del detective che, di libro in libro, evolve e ci permette di conoscere il personaggio, e forse anche l’autore, sempre meglio. Connelly è un maestro in questo. Ha ideato la figura di Harry Bosch, che è un protagonista d’eccellenza con cui compiere questi viaggi all’interno dell’universo dell’autore. In questo libro, il caso è la risoluzione di un cold case, su cui vent’anni prima aveva indagato lo stesso detective e per cui ancora prova un senso di rimorso per la mancata giustizia per la vittima. Il caso è riapribile grazie all’evoluzione scientifica e tecnologica che permette nuovi metodi di analisi delle prove, ma soprattutto ciò che fa la differenza è la caparbietà del detective, che cerca di arrivare a quella scatola nera che, come negli aerei custodisce i segreti e permette di capire le cause, anche negli omicidi può essere quello scrigno da cui far emergere la verità. Una mano dal passato risale dalle profondità, si apre un varco in superficie e ghermisce un gruppo di soldati che pensavano di essere ormai esenti da qualsiasi pena. Bello l’attaccamento ideale del detective alla vittima, Biancaneve. Bella la sua storia personale parallela, che vede nella figlia un personaggio minore, a completamento della personalità del protagonista. Forse in alcuni tratti un po’ dispersivo o forse un po’ troppo dettagliato nelle descrizioni, al punto di rallentare la suspence in modo altalenante.