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Ritorno a Parigi
Il ritorno di Maigret a un’indagine completamente metropolitana segna l’aggiunta di un tocco di claustrofobia in più alle consuete tematiche dei sepolcri imbiancati, della borghesia bacata, delle vite bruciate dalla bramosia di denaro. Un piccolo imprenditore viene ucciso nel suo ufficio a Place de Vosges: il commissario scopre che ha una moglie, un’amante e un’ex-consorte che vive assieme a un secondo marito dalla debole personalità nello stesso stabile dove è sita l’azienda del defunto. Per non farsi mancare nulla, c’è anche un figlio debosciato che si rovina con le droghe: sarebbe il sospettato ideale, ma uno strano testamento che divide l’eredità fra le tre donne convince Maigret che la pista dei soldi sia sempre la migliore. Con pazienza, la rete viene tesa in un continuo gioco di nervi che conduce all’inevitabile passo falso se non del colpevole, almeno del complice: se è vero che l’intuizione di base giunge attraverso una circostanza non molto verosimile – i franchi nella Senna – la costruzione psicologica della trappola ha una sua sorniona efficacia fino a giungere a una conclusione che lascia – more solito – con l’amaro in bocca. Oltre all’intreccio giallo propriamente detto, lo scrittore ci offre un vivace spaccato di quotidianità parigina inserendo un personaggio non fondamentale quanto di grande incisività come la portinaia del palazzo in cui avviene il delitto, divorata dalla curiosità, ma nel medesimo tempo tutta impegnata a difendere il buon nome del caseggiato e la tranquillità degli inquilini più rispettabili.