Dettagli Recensione
Vite rese.
Giverny. Tre donne. Una, la più anziana, ha ottantaquattro anni, è quasi vedova, veste sempre in nero, è la più determinata, vive nel tornione di un grande mulino in riva ad un ruscello sul Chemin du Roy e possedeva un quadro. La seconda ha 36 anni, si chiama Stephanie Dupain, è insegnante, non ha mai tradito il marito eppure si trucca per l’amante e adora l’arte. La terza, di anni 11, si chiama Fanette Morelle, vive con la madre in rue du Chateau, sa dipingere molto bene, gira per la cittadina con svolazzanti trecce e tutti ne sono innamorati tanto è irresistibile il suo fascino. Tutte e tre vogliono andarsene dalla ville dei pittori, ma chissà se almeno una di loro ce la farà? Un omicidio ab initio ed un altro a conclusione, in un arco temporale di soli 12 giorni; dal 13 al 25 maggio 2010.
E’ con queste premesse che ha avvio il romanzo di Michel Bussi, un romanzo che nel mistero ci invita a riflettere sulla vita a domandarci se esiste un ufficio per quelle esistenze rese, trascorse, inesorabilmente perdute. Un elaborato che sulle tinte di Claude Monet si apre con un delitto, quello di Jerome Morval, oftalmologo casanova del luogo, che viene rinvenuto privo di vita con una triplice modalità di assassinio. L’ispettore Laurenç Sérénac, occitano motociclista finito in Normandia per mettere quanti più chilometri possibili tra lui e la sua famiglia, è investito del caso. Al suo fianco un braccio destro preciso e meticoloso interpretato dalla figura di Sylvio Bénavides e una squadra pronta a seguire le sue direttive, anche le più folli, le più visionarie (quali requisire tutti gli stivali della cittadina). Le indagini hanno così principio in quella che è un’alternanza di io narranti, di ricerche storiche ed artistiche, di pezzi di un puzzle che non vuol combaciare.. Seguire l’istinto? Oppure, arriva a chiedersi Laurenç, ha preso una cantonata perché i suoi sentimenti sono offuscati da quegli occhi color malva che tutto il paese non può far a meno di amare (marito geloso marcio compreso)?
E così, pagina dopo pagina, il lettore/Laurenç segue quegli indizi disseminati qua e la, si fa rapire dalle ambientazioni, dal laghetto di Monet, dalla ricostruzione della sua vita, delle sue opere, della sua famiglia, credendo, dopo aver seguito quella pista di molliche alla Hansel & Gretel, di aver capito tutto, di aver scovato l’artefice del/dei misfatto/i ed invece…. Invece no! Proprio quando i giochi sembrano essere fatti, ecco che Bussi rimescola tutte le carte in tavola, sorprendendo chi legge con un epilogo che non delude e che al contrario fa venire meno quelle sensazioni di deja-vu che gli amanti del genere possono aver provato durante lo scorrimento delle vicende. D’altra parte, chi di gialli ne legge tanti, non può far a meno di individuare nello stilato de qua delle similitudini con i caratteri comuni di molte di queste opere. La sua bravura è quella di saper sfruttare il potenziale, la base della sua storia al massimo, sorprendendo.
Avvalorato da una penna fluente ed accattivante, ambientazioni suggestive, un enigma tutto da scoprire che intriga dalla prima all’ultima battuta, “Ninfee nere” si dimostra essere un elaborato che funziona, ben strutturato e che sa far ben leva su quelle che sono le sue potenzialità sottese. Forse, un po’ lento nella parte centrale, ma d’altra parte lo scrittore come avrebbe altrimenti potuto sviluppare la sua indagine? Bussi ha saputo ben giocare le sue carte, dimostrandosi un ottimo regista.