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La ballerina del Gai Moulin
 
La ballerina del Gai Moulin 2017-02-20 12:34:25 catcarlo
Voto medio 
 
3.8
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
4.0
catcarlo Opinione inserita da catcarlo    20 Febbraio, 2017
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Addio al Belgio

Con questo romanzo Maigret arriva in doppia cifra e così il suo autore decide di variare la ricetta: se il quadro d’insieme resta simile nel suo unire ipocrisie e piccole avidità, la struttura al contrario cambia. Il commissario entra in scena solo a metà dello percorso, mentre nei capitoli precedenti è un’ombra che compare e ricompare, assai più minacciosa che rassicurante, contribuendo a minare il sistema nervoso dei protagonisti. Che, in un ingranaggio abbastanza corale, sono soprattutto i due adolescenti sulla strada del vizio, l’appartenente all’alta borghesia che trascina il figlio della piccola in una visione forse stereotipata che però va a stemperarsi in un inconsueto gioco di barbe finte le cui esistenze sono in qualche modo vicine a quelle dei mediocri impiegati dello spionaggio descritti da Le Carrè. L’ambientazione in un night di quart’ordine è prettamente simenoniana, per non parlare dell’appartamento della ballerina/prostituta di cui al titolo (meno bella ma somigliante alla sua omonima de ‘All’Insegna di terranova’) e delle scene che vi si svolgono, ma la commistione di atmosfere contribuisce a dare alla vicenda un inconfondibile tocco noir che mette in secondo piano l’investigazione vera e propria, peraltro costruita con mano brillante. Non è una novità, invece, che Maigret vada in trasferta: la storia è ambientata a Liegi, dove già avveniva lo scioglimento de ‘L'impiccato di Saint-Pholien’, e l’impressione è che, ancora una volta utilizzando elementi autobiografici, la circostanza serva allo scrittore per regolare alcuni conto in sospeso con la poco amata patria prima di trasferirsi definitivamente in Francia. La città è descritta difatti come avvolta da un manto di irrimediabile provincialismo che non risparmia polizia e poliziotti, tanto che Maigret pare divertirsi a mettere in difficoltà l’ispettore che lo ospita (o, per meglio dire, di cui usurpa il ruolo) e i suoi storditi sottoposti (per non accennare alla pesante caratterizzazione riservata al petulante poliziotto che vuole piazzare le sue pipe sottocosto).

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