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Alla scoperta del vero Maigret
Tra tutte le numerose opere che Simenon ha dedicato a Maigret, il nr. 34 (secondo la numerazione adottata da Adelphi nel pubblicare le inchieste del celebre commissario), merita sicuramente una degna attenzione in quanto “Le memorie di Maigret” è un capitolo a sé stante, una vera “pietra miliare” che qualsiasi vero appassionato dovrebbe leggere. Questa volta infatti il narratore è lo stesso Commissario Maigret ormai in pensione, che decide di affidare ai posteri le sue memorie e soprattutto decide di prendersi la sua personale rivincita compiendo una piccola vendetta personale nei confronti di quel Simenon, scrittore spocchioso e un po’ arrogante che
“fumava la pipa con solennità, come se volesse dimostrare dieci anni di più per mettersi sullo stesso piano dell’uomo già maturo che io ero a quell’epoca”.
In definitiva Simenon adotta l’astuta trovata di dare una legittimazione a Maigret, inventandosi un “vero commissario”, una persona reale che rappresenta l’io narrante, un’autentico funzionario del Quai des Orfèvres dal quale ha tratto ispirazione per scrivere i suoi romanzi. Il Maigret di quest’opera si toglie qualche sassolino dalle scarpe, confessa che nonostante l’amicizia poi saldatasi negli anni, questo Simenon non gli sta particolarmente simpatico. Un bel giorno infatti costui è entrato nella sua vita, ha cominciato ad osservarlo ed a prendere nota del suo lavoro, creando un personaggio pubblico che sotto certi aspetti rappresenta una caricatura un po’ stereotipata del funzionario di polizia, inventandosi tra l'altro anche tratti fisici non proprio corrispondenti a lui: “…ero diventato più grosso, più pesante di quanto non fossi in realtà..”.
Oltretutto il “vero Maigret” denuncia le furbate di Simenon, il quale avrebbe un po’ troppo mescolato le carte nel raccontare le indagini svolte nel corso degli anni, non rispettando l’esatto ordine cronologico di numerosi eventi.
Simenon dimostra di avere uno spiccato senso dell’umorismo con questa storia, riesce innanzitutto a prendersi in giro da solo e soprattutto riesce con leggerezza a ridimensionare la figura di Maigret, come a volere evitare di rimanere schiacciato dalla popolarità del suo personaggio (chiedete in proposito a Sir Conan Doyle…). Allo stesso tempo costruisce un passato per il suo Commissario raccontandone l’infanzia, la giovinezza trascorsa a Parigi, l’incontro ad una festa con quella che diventerà la sua futura moglie, ed ovviamente la gavetta compiuta prima di diventare funzionario di polizia: gli inizi per strada con una bicicletta, quindi come guardia ai grandi magazzini, fino al periodo trascorso presso la “buoncostume”. Tutte esperienze sufficienti a formare il futuro commissario, favorendo lo sviluppo di quella intuizione ed introspezione psicologica così caratterizzante e permettendogli altresì di incontrare quell’umanità varia fatta di criminali incalliti, semplici ladruncoli, protettori, prostitute, frequentatori di locali notturni, che si troveranno copiosamente nelle pagine dei vari romanzi.