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"Syttende mai"
Oslo, 1999. Harry Hole, investigatore della sezione omicidi, ha un ulteriore motivo per essere più asociale e distaccato del solito. Un’inaspettata promozione da ispettore a commissario ed il conseguente trasferimento ai servizi di sicurezza lo allontanano dalle uniche due persone che mostrano un sincero interesse nei suoi confronti: la competente e premurosa collega Ellen ed il capo divisione Moller, che tanto desidererebbe trasferirsi in un ufficio con meno politica e relazioni da gestire.
Tra vecchie scartoffie ed il monitoraggio dei crescenti movimenti neonazisti che vanno affermandosi nella penisola scandinava, l’attenzione di Hole è rivolta al ritrovamento di un particolare tipo di bossoli appartenenti ad un raro e potente fucile di precisione di fabbricazione tedesca, il cui proprietario risulta sconosciuto così come ignoti sono i canali utilizzati per aver fatto entrare illecitamente un’arma di tale calibro nel paese.
Dopo due episodi introduttivi come “Il pipistrello” e “Scarafaggi”, ambientati rispettivamente in Australia e in Thailandia, con questo terzo libro il livello qualitativo si alza.
Il romanzo è strutturato secondo uno stratagemma collaudato, che prevede l’alternanza narrativa tra il presente ed un’ambientazione collocata nel passato.
Sono infatti presenti numerosi flashback che hanno per protagonisti un piccolo gruppo di soldati norvegesi, impegnati a combattere a fianco dell’esercito tedesco durante la seconda guerra mondiale. Cinque giovani con grandi conflitti interni, spinti dalla sfiducia nei confronti di un governo nazionale arrendevole, costretto a rifugiarsi a Londra durante l’occupazione straniera.
Gli ingredienti miscelati da Nesbo sono tanti, forse troppi. La guerra, il neonazismo, la politica, il traffico d’ armi.
L’autore, uno dei migliori nel panorama del genere poliziesco contemporaneo, è tuttavia abile tanto nella gestione dei personaggi e nella loro evoluzione umana e psicologica, quanto nella scelta, azzeccata, di rinunciare alla classica dicotomia tra bene e male pronta a prendere il sopravvento ogni volta che si parla di un tema come il conflitto mondiale.
La veridicità storica non è necessariamente un parametro fondamentale per la riuscita di un thriller, ma “Il pettirosso” ha il pregio di incuriosire il lettore sul ruolo che la Norvegia ha avuto nel conflitto, sul tema delle successive epurazioni ed esecuzioni, sul fatto che gli alti vertici di una nazione abbiano il potere di diffondere una precisa e limitata versione della vicenda, idonea a creare un certo tipo di ricordi passati e di eredità futura.
E infine c’ è Harry Hole. Solitario, testardo, ombroso, intuitivo, con una forte tendenza a ricadere nei fantasmi della depressione e dell’alcolismo. Sono caratteristiche riscontrate in molti altri personaggi appartenenti allo stesso filone letterario, ma risulta decisiva la capacità dell’autore nel tratteggiare una personalità unica e carismatica, per quanto complessa.
“Il novanta per cento dei pettirossi migra verso sud. Alcuni si affidano alla sorte e rimangono qui. Sperano che l’inverno sia mite, per scegliersi i luoghi migliori per la nidificazione prima che gli altri ritornino. Può andare bene, ma se sbagliano muoiono. Questo è un rischio calcolato. Se decidi di rischiare può darsi che una notte tu cada da un ramo congelato e non ti scongeli prima della primavera. Se sei un vigliacco può darsi che al ritorno tu non riesca ad accoppiarti. Sono gli eterni problemi che affrontiamo nella vita”.