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Cose preziose
 
Cose preziose 2016-09-17 11:17:50 catcarlo
Voto medio 
 
4.0
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
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Piacevolezza 
 
4.0
catcarlo Opinione inserita da catcarlo    17 Settembre, 2016
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Un King d'annata

Il recupero di un King d’annata, rimasto inopinatamente negletto in libreria, fa meglio capire quel senso di insoddisfazione lasciato dalla lettura degli ultimi romanzi. Nelle opere più recenti, il Re fa un po’ la figura di una vecchia rockstar di cui sono indiscutibili le doti e la sincerità, così che dall’ascolto si ricava comunque un indiscutibile piacere, ma che non può celare come il sacro fuoco dei tempi migliori si vada ormai spegnendo. Nel caso, il suddetto sacro fuoco è rappresentato dalla cattiveria - qui divertita, là acre - che lo scrittore sparge a piene mani in un tomo che si avvicina alle ottocento pagine descrivendo con sottile perfidia i meccanismi che regolano la vita di una piccola comunità in quella Castle Rock che tutte le riassume, siano esse negli Stati Uniti o nel resto del mondo. Ne scaturisce il romanzo forse più corale di un autore che ama spesso costruire trame ricche di personaggi ognuno con una propria storia e una definita personalità: così, l’arrivo del diavolo nel sonnolento borgo del Maine (spoiler non grave, si capisce subito dove si andrà a parare) sembra quasi solo una scusa per descrivere una varia umanità con i suoi pregi e i suoi difetti. In fondo, il signor Gaunt fa solo da catalizzatore amplificando all’ennesima potenza le invidie, le ripicche di quartiere o le vecchie magagne seppellite ancora vive attraverso un semplice processo che sfrutta l’avidità e il desiderio di possesso esclusivo: debolezze connaturate alla natura umana, ma particolarmente evidenti nel periodo in cui il libro è stato scritto, ovvero la fine di quegli anni Ottanta in cui davvero pareva si potesse comprare ogni cosa dando lustro alla più inutile cianfrusaglia. La presenza di simili sfaccettature non significa però che King abbia l’intenzione di scrivere un trattato psicologico o sociologico, bensì sono il suo ben conosciuto metodo per instillare (o far sgorgare) l’orrore dalla quotidianità in un crescendo che parte dalle piccole sbavature come una pallina di neve che si trasforma in valanga. Secondo copione, lo scrittore statunitense è più bravo con i primi passi, quando racconta il male che si insinua sotto la superficie grazie alle sottili arti del signor Gaunt. Meno convincente è una seconda metà che va a sfociare in un finale pirotecnico in eccesso prima di una resa dei conti che francamente pare tirata via, lasciando pure il dubbio di che fine faccia la valigia: per fortuna che, a compensare, stanno i ‘chiarimenti’ tra gruppi o personaggi rivali, rappresentati come una serie di duelli in stile western (all’italiana si direbbe, visto il tasso di brutalità). La conclusione zoppicante è, del resto, circostanza che non fa notizia per l’autore e in ogni caso è ben compensata dalle altrettanto riconosciute qualità di narratore che costringono chi legge a voltare pagina malgrado la struttura a mosaico. E’ proprio quest’ultima anzi che – pur non essendo certo una novità - rende così coinvolgente la parte iniziale e migliore del romanzo: mentre l’inquietante opera di Gaunt fa da filo conduttore, sfilano le passioni e i dolori del piccolo Brad e di sua madre con la fissa di un altro Re, delle acerime nemiche Nettie e Wilma, dell’ubriacone Hugh e del primo consigliere Danforth, delle comunità cattoliche e battista oltre che di molti altri fra i quali la dolente Polly e lo sceriffo Pangborn, l’unico che riesce (forse) a resistere alle tentazioni. All’esistenza di parecchi di loro sono dedicati capitoli che sono brevi racconti a sé stanti aumentando i punti di vista e, di conseguenza, il piacere della lettura che sa fare paura e attrarre nello stesso tempo.

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