Dettagli Recensione
BELLO E BEN FATTO
A dispetto del titolo molto simil-Twilight e altri vampiri, questo romanzo merita. Avevo già letto della stessa autrice L’ora delle Streghe, che mi aveva tenuto incollata alle pagine e appassionato moltissimo. Dunque ho scelto questo libro quasi esclusivamente in base a chi l’aveva scritto e ho continuato a riguardarlo e a riguardarlo a lungo, chiedendomi se effettivamente avessi fatto la scelta giusta (il rischio polpettone sui vampiri c’era tutto considerando il titolo). Ma non si giudica mai un libro dalla copertina, soprattutto se la copertina porta una traduzione italiana molto poco fedele all’originale. Perciò, iniziando la lettura, ho anche cominciato a chiamare questo libro col suo vero nome: Blackwood Farm, un titolo che si addice decisamente meglio a quello che c’è scritto dentro (maledette traduzioni reader-oriented).
Posso dire che in generale le prime pagine mi hanno comunque spinta ad andarci coi piedi di piombo, perché effettivamente si parlava di vampiri (si sarà capito forse che non li amo) ma strada facendo il mondo di quel vampiro mi avvolta. La vera storia ha inizio quando lui prende a raccontare di sé e da quel momento in avanti sembra si stia scoperchiando il vaso di Pandora.
Tutto è narrato in modo scorrevole e preciso al tempo stesso, tutte le situazioni si svolgono con calma e senza fretta: il lettore ha tutto il tempo di prendere famigliarità con i personaggi, dapprima solo sbozzati, e poi pian piano sempre più chiari, più reali. È quasi come se il protagonista ti prendesse per mano e ti guidasse a scoprire un passo alla volta quello che è accaduto nel corso della sua esistenza. E gradino dopo gradino ti accorgi che sei entrato nella sua realtà molto più di quanto credevi possibile. Cresci con lui, cambi con lui, avanzi con lui verso un mondo che s’intorbidisce e diventa oscuro, finché l’oscurità ti avvolge del tutto e a quel punto ti accorgi che il male non è assoluto e che tutto cambia al mutare dei punti di vista: da vittima a carnefice e da carnefice a vittima di nuovo. In più, quel tema che sembra così portante all’inizio (i vampiri, esattamente) dopo le prime pagine diventa un qualcosa di quasi marginale, solo una piccola parte del tutto. E anche se il protagonista è un vampiro, lo è in realtà solo per metà della sua storia: c’è altro in lui, altro nella sua esistenza. La Rice unisce qui il vampiresco alle streghe e ad altre entità soprannaturali, che rendono il corredo molto meglio bilanciato e gradevole anche per quelli come me che con i vampiri fanno un po’ a cazzotti.
I personaggi sono resi benissimo, tutti con una propria unicità, mai scontati, mai fuori luogo. Tutti sicuramente affascinanti. Sono talmente ben tratteggiati da farti affezionare e piangere con loro. Tutti hanno senso, tutti funzionano. Davvero ben riusciti.
Le ambientazioni sono intriganti, magiche. Personalmente apprezzo moltissimo il mondo della Louisiana descritto dalla Rice e qui ancora più che ne L’ora delle streghe quel mondo sortisce il suo effetto magnetico ed intrigante. La storia è ambientata principalmente in una palude e le atmosfere decisamente funzionano.
Per concludere, lo stile: la parte migliore a mio parere. Semplicemente adoro il modo di scrivere di Anne Rice, le sue descrizioni mai banali, sempre perfette, ogni parola al posto giusto. Indugia moltissimo nei dettagli come al suo solito, ma nel complesso quei dettagli si adattano alla perfezione. Assolutamente nulla da ridire, anzi: se volessi saper scrivere come qualcuno, sceglierei lei (e chi la traduce perlomeno, perché anche questo fa la differenza).
Insomma, un bel libro, uno di quelli che ti lascia con malinconia a fissare l’ultima pagina quando lo concludi. La storia di una famiglia e di un luogo, molto più di una semplice vampire-story.