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Merci, Fabio.
Siamo giunti alla fine caro Fabio. Sulle note di “Solea” di Miles Davis si concludono le tue avventure così come quelle del tuo ideatore, Jean Claude Izzo, scrittore marsigliese di origini italiane, venuto a mancare appena due anni dopo la pubblicazione di quest’ultimo episodio, alla giovane età di cinquantacinque anni. Vane le richieste da parte della casa editrice di proseguire con la narrazione delle indagini di Montale, avevi deciso Izzo, quasi un presentimento si potrebbe osare, e hai mantenuto fede alla tua parola.
Un epilogo che non può non lasciare l’amaro in bocca è quello che ci viene donato dal narratore, un finale che è pieno di tutte quelle paure, angosce, dubbi, rabbie, proprie di un personaggio solitario, incapace di abbandonare un passato che inesorabilmente lo tiene incatenato, di un uomo che inevitabilmente rievoca gli amori, gli amici, gli anni da poliziotto in quella che è una Marsiglia ai limiti. Perché Montale non se la sente di abbandonare Babette e nel suo agire è ben consapevole delle conseguenze della sua scelta. Quella scia di morte, quell’inconfondibile odore, è ad attenderlo.
Ma Solea non è soltanto il termine di una serie noir di tutto rispetto, è anche poesia e sentimento. La penna di Jean che è già di per sé inconfondibile, in questo episodio si erge ai suoi massimi, giunge al lettore con una forza e dirompenza in parte assente in “Casino totale” e in “Chourmo”.
Un romanzo dove l’amicizia, la mafia, la quotidianità, l’immigrazione, lo ieri, la femme fatale delineata nelle vesti di un affascinante commissario, la famiglia, i legami, sono parte attiva, costante, certezza. Un elaborato vivo che simbolicamente unisce il sud della Francia al sud dell’Italia a sorsi di pastis e lagavulin, a bocconi di fegatini e prelibatezze di pesce, a suon di Jazz e di Miles Davis.
«...Marsiglia non è Algeri. Ma da qui è come se potessi vedere il porto. Anch'io ho imparato a nuotare tuffandomi nell'acqua delle banchine. Per sorprendere i ragazzi. Andavamo a riposarci sulle boe, al largo. I ragazzi ci venivano a nuotare intorno e si urlavano l'un l'altro: "Ehi! Hai visto che bel gabbiano!". Eravamo tutte dei bei gabbiani».
Si voltò verso di me e i suoi occhi brillavano di una felicitò passata.
«Sono spesso degli amori segreti...» cominciai.
«Quelli che dividiamo con una città» continuò con il sorriso sulle labbra. «Anch'io amo Camus».
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