Dettagli Recensione
Della "Westernità" (ovvero: Roland racconta).
Il nostro ka-tet guidato da Roland e formato da Eddie, Susannah, Jake e Oy ha vinto la sfida con Blaine e prosegue il suo viaggio alla volta della Torre Nera. Arrivano in un Kansas post epidemia e si mettono in marcia lungo un’autostrada deserta ed ingombra di auto abbandonate.
Roland è inquieto perché deve raccontare qualcosa ai suoi compagni. Qualcosa di fondamentale per il loro viaggio, qualcosa con cui, per lui, è doloroso fare i conti.
Infatti tergiversa e rimanda, tanto che Eddie, più di una volta, tenta di evitargli il compito.
Ma alla fine Roland racconta. Si siede e racconta, per tutta la notte. Per oltre 500 pagine.
E King se la sciala.
Racconta una storia western potente, quasi un “omaggio” al genere da quanto è perfetta e “in canon”; tanto che gli elementi extra canone – come la stupenda strega Rhea e la sfera che dà il titolo al capitolo – per quanto fondamentali, non scalfiscono la completa “westernità” della storia.
Un esempio per tutti.
Il meraviglioso scontro al Saloon con i tre cattivi della Bara Blu.
Da come King se lo prepara, curandolo come un figlio, a come lo realizza, a come lo scioglie…
Be’, sembra Sergio Leone. Ed è un pezzo di bravura straordinario. Drammatico, patetico, ironico.
Wester, si diceva.
Ma torniamo a noi, che i pezzi di bravura in questa saga non fanno più notizia.
Incontriamo un giovanissimo Roland e finalmente diamo voce e volto ad alcuni dei personaggi che finora sono stati solo citati (e rimpianti) di passata. Troviamo un altro ka-tet, quello di Roland e dei suoi amici Alain e Cuthbert e lo troviamo impegnato in una missione importante che diventerà fondamentale.
Lo vediamo pistolero, leader, amico leale, figlio, dissimulatore e – udite udite - innamorato.
Terreno pericolosissimo per tutti e anche per me che in genere trovo che inserire una storia d’amore mentula canis sia il modo peggiore – e più frequente – per mandare a peripatetiche una storia/un personaggio.
Va detto, però, che con “La Storia di Lisey” King piazza una delle storie d'amore più belle che mi sia capitato di leggere (con un’amorosa veramente notevole).
E infatti.
King non perde un colpo, con Roland. Riesce a rendere bene la sua natura “divisa” che accetta la forza completamente irrazionale dell’amore perché sa che non può farci nulla, ma circonda questo nucleo primordiale con strati e strati di razionalità, coerenza, logica. Come fanno le ostriche con i granelli di sabbia.
«…la sua natura romantica sepolta nel suo animo come una vena di fiabesco metallo sconosciuto nel granito della sua praticità. Accettava l'amore come un fatto della vita e così facendo spuntava l'arma del suo sdegno. (…) La verità talvolta non coincide con la realtà: quella era una delle certezze che albergavano nella cavità segreta al centro della sua natura divisa. La capacità di elevarsi al di sopra di entrambe e accogliere di buon grado la follia dell'amore era un dono ereditato dalla madre. Tutto il resto in lui era razionalità lucida... e, forse più importante ancora, priva di metafore.»
Insomma, Roland non prende le armi in una battaglia che non può e non vuole vincere, ma non si racconta mai palle. Fosse solo per questo…
E anche l’amata Susan non è male.
Oddea, a me ricorda un po’ troppo la Beverly di IT, che non avevo amato per nulla, ma sarà il mio solito problema con i personaggi femminili (anche se qui, King, con Rhea, Coral Thorin e Olive ne piazza tre – di cui due cattivi – notevoli).
Susan è la ragazza perfetta per il giovane Roland e tutta l’evoluzione della storia è come deve essere.
Fino al finale che evoca ancora Derry e anche Shirley Jackson.
Western, si diceva.
Quello che mi sdubbia e non mi ha fatto godere questo romanzo come i due precedenti è narrativo / stilistico.
Queste 500 pagine di flash-back del racconto di Roland. Sono per darci gli elementi per andare avanti nella storia? Sono per darci una “chiave” per capire meglio Roland?
In entrambi i casi la tecnica scelta non mi convince (nel secondo caso non mi convince neanche il movente).
L’espediente è molto “tipico” (fermiamo l’azione e raccontiamo. Lo fanno quasi tutte le eroine disney più o meno dopo dieci minuti di film) e la storia è bella, però… l’avrei voluta sentire in un altro modo, magari non di fila, a mo’ di spiegone. E… Roland non ha bisogno di chiavi di lettura e di “spiegazioni” per com’è.
È com’è e come deve essere.
Spero davvero che la Sfera non sia stata un tentativo di psicoanalizzarlo.
In caso non posso fare a meno di ri-citare il pistolero e la sua definizione – di fioretto – sulla psicoanalisi ed affini: «Una stronzata», tagliò corto Roland. «Escrementi della mente. I sogni o non significano niente o significano tutto, e quando significano tutto, ti appaiono quasi come messaggi... (…) E non tutti i messaggi sono inviati da amici.»