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Meccanismi della psiche.
Era l’estate del 1959, e il Mental Healt Act era appena diventato legge. All’epoca dei fatti, Stella era sposata con Max Raphael, uno psichiatra criminale chiamato a prestare la sua opera in una struttura tipicamente vittoriana, una cittadella fortificata che si ergeva su un alto colle da cui dominava la campagna circostante caratterizzata da fitte pinete a nord e a ovest, e bassi acquitrini a sud. Dall’unione della coppia era nato Charlie, un bambino di appena dieci anni. La residenza del vicedirettore era sita ad un centinaio di metri dal cancello principale ed altro non era che una grande casa di pietra grigia, uguale a quella dell’ospedale, leggermente in disparte dalla strada interna e nascosta dai pini. Il progetto che maggiormente interessava Max, amante dello stile vittoriano, circa la propria abitazione, era il restauro della vecchia serra in fondo all’orto, una grande costruzione ornamentale del 1800 che era servita al tempo per coltivare orchidee, gigli e molteplici piante tropicali. Ed è qui che entra in gioco Edgar Stark, ex artista dalla personalità forte ed un grande fascino, detenuto all’interno della struttura perché affetto da una patologia psichiatrica grave che lo ha portato a decapitare– ed enucleare – la coniuge. Non riusciva “a vederla”, altro non era che una puttana, una donna dai facili costumi che meritava di essere punita per il suo torto, per avergli impedito di portare a termine la sua opera, per l’appunto, una testa.
Un incontro, un ballo, una ricerca di affetto che da attrazione diventa amore, da amore si tramuta in ossessione e da ossessione si trasforma in tragedia. Un romanzo dove Peter Cleave, io narrante psichiatra, descrive passo dopo passo con la freddezza clinica propria del mestiere, gli automatismi della mente dei tre protagonisti: sia Max che Stella che Edgar si ritrovano a far parte di un meccanismo di degenerazione determinato da un senso di insoddisfazione, di tristezza, di paura, di insicurezze in cui la follia è l’unica strada possibile.
Ma chi è il vero folle? L’uxoricida Edgar? O l’affascinante, triste, malinconica ed inappagata moglie del vicedirettore? O è quest’ultimo stesso, figura di spicco eccessivamente dedita e rapita dal lavoro per potersi anche solo accorgere dei suoi problemi, il vero malato? O è a sua volta l’impenetrabile Peter, col suo apparente distacco e con la sua criptica vita privata, l’affetto da disfunzione? Oppure, semplicemente, tutti sono vittime, preda e meccanismi della follia stessa?
In appena trecento pagine Patrick McGrath dà vita ad un universo di introspezione, dove ciascun personaggio viene inquadrato con poche ma essenziali caratteristiche atte non solo a far entrare il lettore in simbiosi con gli stessi ma anche a comprenderne le dinamiche, i comportamenti, le progressioni. Grazie a queste semplici linee guida, chi entra in contatto con l’elaborato è in grado di analizzare i meccanismi della psiche umana nonché le sue evoluzioni e distorsioni in funzione delle esperienze e degli episodi che fanno parte del vissuto di ciascun essere umano. Nessuno uscirà indenne, ognuno pagherà delle conseguenze di questo pericoloso gioco e di fatto a farne maggiormente le spese sarà Charlie, vittima innocente delle ripicche, della rabbia e della frustrazione degli adulti. Un quadro che porta inevitabilmente il soggetto esterno ad interrogarsi, a cercare di darsi delle risposte.
Con uno stile semplice, leggero e mai appesantito da tecnicismi, lo scrittore dona alla letteratura un testo ricco di contenuti e spunti di riflessione, una perla di rara bellezza da custodire ed apprezzare pagina dopo pagina.
«[..] Quand’è che cominciamo a fare delle distinzioni tra quel che è giusto e quel che è sbagliato? Quando qualcosa ci ferisce o minaccia di farlo». p. 176
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