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Bellezza è terrore
Dopo aver letto tutti i libri della Tartt, posso affermare con fermezza che Dio di illusioni, io suo romanzo di esordio, è anche quello più raffinato e affascinante.
Il filo conduttore di questo romanzo è il vero significato del male (“l’infinità di trucchi grazie ai quali il male si presenta come bene”).
Sempre in bilico tra lo straordinario e il realistico, i personaggi sembrano mossi da sentimenti genuini e spontanei, come il dovere, la pietas, la lealtà, e il sacrificio, ma in realtà la maggior parte di loro sono accecati dal loro stesso potere e denaro.
Pensiamo ad esempio a Henry, un ragazzo brillante e sofisticato, che a causa della sua prodigiosa intelligenza, trascinerà a fondo con sé tutti i suoi compagni. Eppure non riusciamo ad odiarlo. Sarà che tutti gli vogliono bene e si abbandonano a lui? O magari, noi lettori vogliamo salvarlo da un' esistenza monotona e scialba?
Francis, invece che sembra essere l'unico a non essere infettato dalla crudeltà, è pur sempre vincolato ad una vita infelice, accanto ad una persona che non riuscirà mai a guarire le ferite provocate dagli anni dell'università.
Camilla, l'unica ragazza a far parte di questo limitato gruppetto di studiosi della antichità, sembra amata da tutti per il suo comportamento misterioso e per la sua bellezza. Neanche lei riuscirà a salvarsi dal futuro che le spetta, e dimostrerà di essere priva di sentimenti autentici che non abbaino a che fare con la morte del suo amante Henry.
"Non c’è nulla di sbagliato nell’amore per la bellezza ma se non è sposata a qualcosa di più profondo è sempre superficiale”.
La scrittura è aulica, piena di descrizioni che rendono ancor più indimenticabili questi grandi personaggi della letteratura americana contemporanea.
Mi sento di consigliare questo libro a CHIUNQUE, a prescindere dai gusti personali, siccome questa opera nasconde al suo interno una varietà sorprendente di fatti raccontati con tanta perizia. Rimarrete per ore col fiato sospeso, e vi sentirete (nuovamente) studenti universitari intrepidi, che dovranno vedersela con il destino proprio e altrui.