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Vedere il dio Pan
Il dottor Raymond, esperto di medicina “trascendentale”, ha un fine ultimo nella sua vita: far conoscere all’uomo il vero volto della realtà che lo circonda, stracciare quel velo che separa la nostra dimensione da un’altra, quella vera, popolata, da esseri primordiali, creature sregolate senza etica né morale. Lui definisce ciò: “vedere il dio Pan”. Per raggiungere il suo obiettivo non esita a modificare la struttura cranica della sua figlia adottiva Mary, così da permetterle di scorgere tale universo nascosto. L’operazione ha successo e la giovane viene catapultata in un mondo radicalmente slegato dal nostro, terrorizzata e ormai segnata per sempre da ciò che ha visto.
La narrazione compie a questo punto un salto cronologico e si sposta in avanti di alcuni anni nella città di Londra dove, in circostanze sospette, avvengono dei misteriosi omicidi/suicidi che sembrano legati alla bella ma inquietante Helen Vaughan, una nobildonna dall’oscuro passato.
Pan, metà uomo e metà capra, che la tradizione vuole dio pastore, della campagna e delle selve, potente e selvaggio e dai forti connotati sessuali è qui il temibile progenitore da cui ha origine tutta l’umanità. Simbolo del potere della natura e del richiamo alle origini bestiali dell’uomo, nonché centro di culti pagani, il dio Pan si fa portatore di allucinazioni e orrori reali svelando un universo segreto di cui mai i protagonisti del romanzo avrebbero voluto prendere coscienza e di cui noi lettori veniamo altresì a conoscenza. Il nostro viaggio, o per meglio dire la nostra rocambolesca discesa nell’abisso, avviene di pari passo a quella dei personaggi che, nel susseguirsi degli incontri, colloqui, testimonianze, ipotesi, sviluppate nel cuore di una Londra cupa e notturna, tra una strada deserta illuminata solo dalla luce dei lampioni e un elegante salotto aristocratico, giungono a delle scoperte che portano via via alla risoluzione del terribile enigma.
Questo romanzo, pubblicato nel 1894, suscitò grande scandalo nel Regno Unito, soprattutto nell’ambiente puritano e borghese: le immagini erano troppo forti, i contenuti sessuali fin troppo espliciti per l’epoca. Il crollo delle certezze, la fiducia tutta positivista nelle scienze e nel progresso scientifico che cominciava ad incrinarsi, il senso di un’esistenza sempre più precaria accomuna molti scrittori decadentisti. In questo spazio di desolazione irrompono figure mostruose come i vampiri di Bram Stoker o gli dei disumani del gallese Arthur Machen, autore di quest’opera. Egli viene considerato uno tra i maggiori rappresentanti del decadentismo e ricevette attestati di stima da diversi colleghi tra cui Lovecraft.
Machen fu un intellettuale poliedrico e versatile: erudito lettore di testi esoterici, attore shakespeariano e giornalista, saggista interessato all’antico Galles gallo-romano e, appunto, romanziere di successo in un genere a metà strada tra il fantastico e l’orrorifico, che certamente risente dell’influenza di Edgar Allan Poe, ma che si arricchisce di una fascinazione tutta decadente per l’occulto e per i miti classici, tanto di moda nell’epoca in cui egli scrive e che, personalmente, ritengo continuino ad esercitare un fascino particolare anche oggi.
Il romanzo già di per sé breve, scorre via gradevolmente e l’efficacia della narrazione è data da un ritmo sostenuto nonché dalla capacità dello scrittore di tenere il lettore in bilico tra la curiosità di scoprire i misteri celati nel racconto e il timore di ciò che essi potrebbero stare a significare. Il Grande dio Pan è un’opera che nonostante i sui 122 anni di età non risente molto del tempo passato e non ha quell’aura “datata” che invece caratterizza molte altre opere del genere.
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