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Orrore del vero e del presunto....
Trovo obiettivamente complicato costruire una recensione esauriente perché' l' argomento trattato e' complesso, scabroso, ( si parla di cannibalismo ), la trama intricata, sconnessa, vi sono più' storie reali ed immaginifiche ed innumerevoli protagonisti che si intersecano e si avvicendano, oltre che diversi piani di lettura, e l'autore stesso diviene soggetto ed oggetto all' interno del racconto da lui creato.
Per questo vorrei anticipare l' epilogo recensivo chiarendo che il romanzo, pubblicato più' di venti anni fa, e solo oggi tradotto in Italia, e' una cruda ed iper- realistica costruzione estremizzata, macabra, paradossale, d' orrore vestita, oltre ogni logica ed umano sentire, di quello stesso autore che successivamente sara' premiato con il Nobel e lodato per un filone letterario ed espressivo, il realismo allucinatorio, che lo consegnera' a meritata gloria letteraria.
Qui si va oltre, ed è' questo il motivo per cui si deve guardare non solo alla semplice trama, ma individuare una chiave di lettura ed approfondire un testo che è' palesemente una miscellanea di allegorie, metafore, che si serve di un linguaggio volutamente crudo e crudele, oltrepassando una decenza di forma e di contenuti e perciò' unico e credibile, anche se eccessivo in ogni esternazione descrittiva e di trama.
È' un romanzo sicuramente originale, ma difficile da definire e collocare, se non con un occhio alla scrittura ed ai significati nascosti e trasversali abbandonando la linearità' della storia, che sarebbe fuorviante, piuttosto monocorde e a rischio monotonia.
Il racconto vede l' ispettore Din Gou'er indagare su un presunto traffico di neonati, la cui carne pare venga offerta come prelibata pietanza a selezionati clienti da alcuni ristoranti nella provincia di Jiuguo.
Durante il suo viaggio investigativo sarà' invitato in banchetti a base di alcool, a sua volta sperimentera' l' orrido cannibalismo, o presunto tale, o forse è' solo una credenza, e si imbatterà' in molteplici personaggi sui generis, farseschi, abominevoli, intriganti quanto manipolatori, malfamati, traditori, fiabeschi.
Contemporaneamente tra le pieghe del romanzo si narra il rapporto tra Mo yan e Li Yidou, dottorando in distillazione di alcolici ma aspirante scrittore, che invia all' autore vari racconti da lui scritti ciascuno con diverso stile e contenuto, e per finire vi è' un racconto dello stesso Mo Yan, che riassume e chiarisce la trama, oltre che diventare lui stesso soggetto narrativo.
La trama finisce per essere una intricata storia nella storia, con protagonisti e spettatori vicendevoli, scambi di ruoli, un alternarsi di realtà' e fantasia, orrore e giuoco di specchi, verità' ed apparenza, un susseguirsi isterico di assurde vicende ed inspiegabili crudelta', possibili ma improbabili.
Non abbiamo certezze evidenti, verità' e menzogna si mescolano di continuo, cosi' come ci ricorda l' autore.
Personalmente ho apprezzato maggiormente altri romanzi di Mo Yan, più' corali, meno eclatanti, con una migliore poetica descrittiva insieme ad una definizione più' completa di trama e personaggi.
Questo testo è' stato considerato come denuncia di una realtà' cinese fuorviata e paradossale, di un mondo al contrario, edonistico e capitalistico oltre che distopico, certamente ne esce una narrazione dai caratteri forti, una scrittura in cui l' autore e' sì' riconoscibile, ma ancora in un periodo di auto-definizione e sperimentazione, non ancora all' apice di espressione e produzione letteraria degli anni a seguire.
La lettura è' consigliata per lo stile narrativo, riconoscibile, non altrettanto per contenuti e piacevolezza d' insieme, tenendo presente le difficolta' d' uso ed il pericolo di perdersi tra vero e presunto senza ritrovare una via di ritorno.
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Bel commento.