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La sua arma è la paura
Al Solitude Creek di Jeffery Deaver si consuma una strage, causata più dal panico che dall’insano regista che ha simulato un incendio per diffondere il terrore tra i presenti.
L’eroina di Deaver, Kathryn Dance, qui agisce disarmata (“Niente pistola?”) per smascherare il folle (“… un soggetto sconosciuto, cioè, in gergo poliziesco, un sosco”) che sembra nutrire una passione patologica (“La sua arma è la paura”) che lo induce a scatenare fenomeni di paura collettiva (“Quando la folla prende il sopravvento. Diventi la cellula impotente di una creatura il cui unico scopo è sopravvivere”) in luoghi chiusi (“Enormi ascensori da ospedale erano un luogo perfetto per il gioco del panico”).
Purtroppo, la cronaca reale è ricca di precedenti simili…
In modalità molto americana, la trama porta a ricondurre tutto nelle trame della vittoria del bene sul male, ma la rappresentazione di quest’ultimo è sin troppo estesa e particolareggiata.
Completano il quadro l’indagine parallela su un’organizzazione malavitosa, le traversie dei figli adolescenti di Kathryn Dance, le vicissitudini amorose dell’investigatrice stretta tra due fuochi: ONeal, il collega di avventure poliziesche, e Jon Boling, un affascinante cyber-professore.
Giudizio finale: azionista, belligerante, mastodontico.
Bruno Elpis
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