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Quel freddo diabolico che ti tramuta in pietra
Il tenente Jonathan Stride, della polizia di Duluth, è di ritorno da un viaggio di lavoro. Fa una sosta nei pressi della cittadina di Shawano, Wisconsin, un luogo dove non metteva piede da vent'anni. Qui riposa sua madre, nel piccolo cimitero di campagna. All'improvviso, mentre si sta allontanando dalla lapide, i fari di un'auto della polizia fendono l'oscurità. Un agente scende dal veicolo, si avvicina a una tomba e si toglie la vita con un colpo alla tempia. Stride è un estraneo in quella piccola città e lo sceriffo non gradisce né la sua presenza né la sua curiosità. Eppure il detective non può dimenticare quanto è accaduto proprio davanti ai suoi occhi: per di più gli chiedono risposte Kelli, la moglie di Percy Andrews, il poliziotto suicida, e suo zio Robert che si offre di ospitarlo anche per averlo accanto a sé dopo tanti anni di distacco.
Stride, così, comincerà a scavare su fatti che turbano il recente passato e le stesse coscienze di Shawano. Farà scoperte dolorose e strazianti, risalenti all'epoca in cui Kelli, psicologa del tribunale, era stata sequestrata e lungamente torturata da uno dei suoi pazienti: l'uomo davanti alla cui tomba s'è ucciso Percy.
Ufficialmente fu proprio Percy a salvarla. Ma come andarono davvero le cose quei giorni e fino a che punto Kelli restò solamente una vittima dello psicopatico? Scavando, il detective scoprirà una realtà molto complessa e preoccupante.
Il tenente Stride è il personaggio principale di una serie di romanzi di Brian Freeman. Io l’avevo incontrato solo una volta leggendo un racconto breve dell’autore ("Formiche"). In questo romanzo tutto gira attorno a lui, alla sua ansia di scoprire veramente come andarono le cose in quel paesino sperduto del nord degli Stati Uniti, alla sua storia personale, con tutte le inquietudini ed i punti irrisolti, ai rapporti che con lui hanno parenti ed i personaggi che via via restano coinvolti nelle indagini.
Debbo dire che il romanzo mi ha suscitato sensazioni contrastanti. Da un lato non posso negare che sia ben scritto e coinvolga. Parte lento, quasi risenta del freddo che sferza quelle lande battute dai venti artici anche a primavera inoltrata (periodo dell’anno in cui si svolgono i fatti narrati). Poi, però, prende velocità e quota. Gli avvenimenti diventano incalzanti, trascinano il lettore. Tuttavia non mi ha mai abbandonato quella sensazione di freddo malsano che suscitano le prime pagine, anzi, più si avvicina alla conclusione e più la sensazione aumenta e si fa pungente. Un freddo interno, che ti fa star male e ti mette a disagio; ti trasmette un malessere generale. La trama gialla è ben congegnata, anche se non brilla di originalità: mai come in questa circostanza, infatti, la vecchia massima per i lettori di gialli (sospetta del più insospettabile dei protagonisti) si rivela azzeccata. Tuttavia è proprio l’atmosfera trasmessa dagli avvenimenti narrati e dalle persone coinvolte a suscitare questo senso di gelo. In conclusione il romanzo non appartiene al genere di libri che, quando si arriva all'ultima parola, si vorrebbe continuassero all'infinito. Al contrario si è grati che la vicenda si sia conclusa, con tutti "i morti, feriti e dispersi" che ha causato, come in una battaglia contro un Male di cui, però, non si comprende chi è il vero alfiere.
Un commento finale: del tutto incomprensibile il perché del titolo italiano che mi pare travisi il senso del molto più evocativo "Turn to stone" (Trasformato in pietra) dell’originale, che ben trova la sua spiegazione nel libro.
Indicazioni utili
- sì
- no