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La spia che venne dal freddo
 
La spia che venne dal freddo 2015-12-08 00:43:41 Vita93
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Vita93 Opinione inserita da Vita93    08 Dicembre, 2015
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Cortina di fumo

Si dice che ogni scrittore racconti una parte di sé nei propri romanzi.
Niente di più vero per John le Carrè, pseudonimo di David John Moore Cornwell, la cui esistenza è degna dei più rocamboleschi intrecci spionistici che lo hanno reso celebre nel mondo della letteratura.
Reclutato in giovane età dai servizi segreti inglesi, le Carrè ha svolto incarichi sotto copertura per sei anni, prima di essere tradito da un doppiogiochista del KGB che lo costrinse al ritiro.
Ha quindi iniziato la carriera di scrittore ed il 1963, con la pubblicazione de “La spia che venne dal freddo”, è stato l’anno della svolta.

Alec Leamas è un agente segreto inglese reduce da un’operazione fallimentare a Berlino. Molti dei suoi uomini sono stati scoperti e uccisi dagli agenti rivali della Germania democratica filocomunista, capitanati dall’infallibile Mundt.
Su ordine delle alte sfere del Circus britannico, Leamas si finge disilluso, dedito al consumo di alcolici e pronto a tradire la propria patria, per riuscire così ad infiltrarsi nell’organizzazione nemica. Uno dei membri più importanti del Circus, sebbene nella vicenda rivesta un ruolo secondario, è George Smiley, il personaggio più celebre e presente nei romanzi dell’autore britannico.

L’ambientazione, divisa tra Londra e Berlino, è affascinante e cupa, emblema di un’epoca immersa nel pieno della Guerra Fredda. Così come il Muro della capitale tedesca simboleggiava una divisione ideologica e geografica, così il romanzo contrappone due facce della stessa medaglia.
L’intrigo è sfumato, credibile, privo di inutili iperboli. I personaggi sono ben sviluppati e di non facile inquadratura, perché lo scrittore ha il merito di non cadere nel tradizionale errore di dividere le due fazioni tra buoni (occidentali) e cattivi (KGB), bensì di approfondirne motivazioni, credenze e rispettivi punti di vista. È una storia avara di sparatorie e scene d’azione, in totale contrapposizione allo stile del capostipite del genere, Ian Fleming, che amava circondare il leggendario James Bond di un’atmosfera glamour, movimentata, talvolta giocosa.

“La spia che venne dal freddo” è un romanzo solido, misurato ma al tempo stesso coinvolgente, che si interroga sull’importanza strategica di un singolo individuo in contesti in cui pochi uomini si trovano a decidere le sorti di intere nazioni.

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