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Gioventù bruciata
Hector Loursat de Saint- Marc rappresenta per gli abitanti di Moulins, soprattutto per quelli appartenenti all’alta borghesia, lo spettro del fallimento individuale, l’elemento debole di una catena i cui anelli servono anche a fare cerchio contro gli altri strati sociali al fine di garantire lustro, continuità, benefici e, fondamentalmente, lo status quo.
Ha quarantotto anni e da ex rampollo, da brillante avvocato, si è trasformato in un misantropo, chiuso nel suo studio, circondato dalle innumerevoli bottiglie di bourgogne che ama tracannare tutto il santo giorno, immerso nelle sue ricercate letture. Se la passa così da quando la moglie è sparita con il suo amante lasciandogli - ormai sono trascorsi diciotto anni- il fardello di una figlia la cui paternità è dubbia. La dimora nella quale abitano ha perso tutto il suo decoro, allineata nel quartiere dabbene della cittadina, è lì come un pugno sull’occhio a rammentare il degrado del suo proprietario che mina, con la sua sola esistenza, il decoro su cui si fonda il buon nome della borghesia cui purtroppo appartiene. Inutile e indecoroso ubriacone.
Il romanzo introduce progressivamente la caratterizzazione del personaggio, alternando a eccellenti descrizioni d’ambiente, l’introduzione del fatto che muove l’azione. Una sera, dai piani alti e disabitati della palazzina in cui vive, giunge distinto il suono prodotto da un colpo di arma da fuoco. L’orso, come sempre rintanato nel suo studio, incapace di rivolgere la parola alla figlia e alle domestiche nell’unico momento di contatto rappresentato dai pasti giornalieri, esce dalla stanza, affronta la scala, percepisce un’ombra, vede un uomo morire...
Il fatto lo spinge ad attivare la macchina della giustizia che lo risucchierà nel vortice dell’antica professione e che lo restituirà lentamente alla vita. Questo aspetto relativo alla sua rinascita è, a mio parere, il più riuscito dell’opera insieme all’intento palese di colpire l’ipocrisia borghese con l’ennesimo personaggio vinto e fuori dagli schemi sociali molto presente nella produzione dell’autore; tuttavia il romanzo non mi ha convinta del tutto perché la seconda parte è tutta dedicata alla risoluzione del giallo in pura ambientazione processuale.
Non amando particolarmente il genere, rimango delusa da quell’abbozzo di capolavoro che avevo respirato per tutta la prima parte: mi pare dunque di essere di fronte ad un ibrido che avrei goduto maggiormente se depurato dalla seconda parte la quale mi ha defraudato di quella caratterizzazione psicologica cui mi stavo già affezionando come novella lettrice del Simenon non Maigret, e che avrebbe potuto trascinare in un epilogo più efficace di quello letto.
Molto interessante invece la critica alla borghesia che vedendo coinvolta nello scandalo i suoi figli migliori, si attiva in una rete solidale di protezione e ipocrisia.
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