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Il mio primo Simenon
“Fu un errore mentire. Se ne rese conto nel momento stesso in cui apriva bocca...”
La vicenda prende l’avvio da una menzogna, che in realtà è la diretta conseguenza di un elemento di rottura che scardina la certezza effimera del quotidiano. Tutto qui il nucleo narrativo di questo romanzo: un’idea alla base, le sue dirette conseguenze nello sviluppo successivo.
L’antieroe di turno è Jonas Milk, appassionato filatelico, ebreo di origini russe, sbattuto dagli infelici esiti della Storia del Novecento in terra francese e lì così ben integrato da essere riuscito a scampare ai rastrellamenti nazisti.
Vive in una piccola cittadina di provincia ma tutto il suo mondo gravita intorno alla piazza del mercato cui si affaccia anche la sua libreria. La sua quotidianità non gli appartiene, non vive una dimensione privata, il suo vivere è – apparentemente- all’ unisono con quello degli altri abitanti della piazza che lì vivono e lì gravitano per l’allestimento del mercato. È uno spazio aperto che si apre a infinite relazioni e la quotidianità è marcata fortemente dalle relazioni di vicinato. Tutti si conoscono: i rumori, i gesti, i movimenti sono avvertiti, avvertibili, conosciuti da tutti.
Jonas , libraio quarantenne, è elemento pacifico, perfettamente inserito, integrato in tale contesto dal quale non proviene. Paradossalmente, chi invece ne rappresenta un forte elemento di rottura è la sua giovane moglie: le è stata proposta, Gina, benché l’abbia vista bambina giocare tra le bancarelle, ragazza perdersi in condotte poco costumate, ferita dall’ amore sbagliato per un poco di buono finito in galera, sopravvivere all’ ambiente chiuso della provincia. Gina spesso evade da quel contesto e torna. Quando sparisce per l’ennesima volta, Jonas mente per giustificarla e mentre lo fa commette l’errore più grande della sua vita, già lo sa...
Il romanzo veicola un messaggio fortemente pessimista: l’uomo è capace di fare del gran male, al mondo non c’è spazio per la modestia, l’amore, la tolleranza. Tutto è retto dall'ipocrisia delle relazioni e dalla loro labilità, a niente vale la rassegnazione al proprio status, l’accettazione , la condivisione. Vince il più forte, non necessariamente un antagonista al piccolo antieroe, basta solo la perfidia insita nel gruppo che esclude un suo elemento per un qualsiasi motivo, anche il più banale, anche per niente.
Il romanzo lascia di stucco per il suo epilogo tragico, si scolpisce prepotentemente nella memoria per il suo vinto, si impossessa del lettore con la sua efficace ambientazione e invita, nel mio caso, alla scoperta dell’immensa galleria di tipi umani sfornata dall'autore, alla ricerca di smentite, conferme e in fondo di una prospettiva di lettura della vita che mi pare veramente interessante.
Lo stile asciutto, sobrio, diretto ben si sposa all'architettura della trama il cui disegno è abilmente anticipato, predisponendo il lettore all'atteggiamento attivo di ricerca, tipico del giallo, salvo poi capire che il geniale Simenon chiude le sue storie a modo suo, lasciando al lettore il tempo di sentirsi irretito, disgustato, sorpreso ma, incredibile, piacevolmente
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