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E se fosse Simenon il Glauser belga?
Friedrich Glauser, il “Simenon svizzero”, come spesso viene descritto, è uno scrittore poco conosciuto di cui a suo tempo l’editore Sellerio ha avuto il merito di pubblicare gran parte dell’opera.
L’accostamento al più celebre scrittore belga deriva essenzialmente dall’avere entrambi dato vita, guarda caso negli anni ’30 del secolo scorso, a personaggi di detective che hanno in comune il fatto di essere persone “normali”, con una famiglia borghese alle spalle, che sono in grado di risolvere i casi di cui si occupano perché sanno capire le ragioni che hanno spinto al delitto.
Ovviamente nel caso di Simenon questo personaggio è Maigret, mentre Glauser è il padre del Sergente Studer, della polizia di Ginevra.
Le analogie tra i due scrittori però finiscono qui. Tanto lunga, agiata e ufficiale fu la vita di Simenon quanto breve, estrema e marginale quella di Glauser, che morì a 42 anni nel 1938, dopo anni di riformatorio, legione straniera, internamento in manicomio e abuso di morfina. Anche la mole della produzione letteraria è agli antipodi tra i due: alle centinaia di romanzi scritti da Simenon si contrappongono una decina di romanzi con protagonista Studer e pochi altri volumi.
Eppure, come detto, Maigret e Studer si somigliano molto, ed io credo che il fatto di essere stati concepiti – sia pure da due personalità così diverse – nella stessa epoca e nello stesso contesto culturale aiuti a capire il perché.
Come viene detto spesso a proposito di Maigret, ma lo stesso vale per Studer, la ricerca che si svolge in questi romanzi gialli non mira tanto a capire chi ha compiuto un delitto, ma perché il delitto è stato compiuto. I colpevoli sono in genere persone normali, che in qualche modo si sono trovate costrette ad agire come hanno agito.
E’ chiaro che in entrambi gli autori la detective story è uno strumento, probabilmente il più potente che hanno a disposizione, per descrivere drammi umani e sociali, per raccontare attraverso piccole storie una società borghese che si stava tragicamente avviando, attraverso convulsioni e contorcimenti sociali e culturali, verso la catastrofe della seconda guerra mondiale.
Da questo punto di vista forse Glauser aggiunge qualche elemento ulteriore, che gli deriva dalla sua condizione esistenziale ed umana: la conoscenza in prima persona della marginalità gli permette di aggiungere ai suoi romanzi una dolorosa partecipazione alle vicende dei suoi personaggi che in Simenon è solo mediata. Studer è infatti esso stesso un emarginato, che si ritrova sergente a causa di un errore commesso in passato, per il quale è stato degradato. Lavora praticamente da solo, senza il supporto – anzi, tra una certa diffidenza – di colleghi e superiori.
Glauser, come detto, inserisce nei suoi romanzi del Sergente Studer anche elementi autobiografici, e questo rende realistici anche passi che potrebbero essere scivolosi, quale quello in cui, ne 'Il grafico della febbre', Studer si reca per l’indagine in Algeria, negli avamposti della Legione Straniera. Glauser vi aveva vissuto davvero, in quei luoghi, e quindi è in grado di descriverceli in tutta la loro assurdità e sciatteria, e di regalarci anche straordinari ritratti dei tipi umani che vi si ritrovano.
Non entro ovviamente nella trama de 'Il grafico della febbre', che ritengo uno dei più belli tra i romanzi del Sergente Studer, ma invito a leggere questo autore, che ha saputo usare un genere per descrivere atmosfere vissute dolorosamente sulla propria pelle.
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Commenti
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Molto bella la tua recensione. Interessante il quadro comparativo fra i due scrittori. Dello Svizzero non avevo alcuna conoscenza.