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Stavolta non squali, ma anaconde.
Con tutto lo scettismo dovuto al primo incontro con Harry Hole (e Megashark), ne “Il Pipistrello”, mi sono avvicinata a quest’opera del celebre autore norvegese (libro del mese con il mio Gruppo di Lettura) per vedere un po’ se dargli un’altra chance o troncare definitivamente e senza rancori.
Va detto, come prima cosa, che il nostro è sensibilmente migliorato.
Il protagonista, Sonny, somiglia un po’ ad Hole, ma non troppo. E poi non è l’investigatore, ma – a quello che sappiamo all’inizio – l’assassino. Che poi si trasformerà nell’Angelo Vendicatore (o nel Buddha con la spada, se seguiamo la definizione di Nesbø).
L’azione all’inizio si svolge in un carcere norvegese di massima sicurezza, dove, appunto, è recluso Sonny. Trentenne, ex-wrestler, figlio di un poliziotto corrotto e suicida, dopo la morte del padre e della madre si è dato all’eroina e agli omidici (forse). Arrestato, continua a farsi di eroina, ma vive in una dimensione quasi mistica, nella quale diventa un punto di riferimento per gli altri detenuti. Li ascolta, non li giudica, li assolve. Dal momento che appare completamente disinteressato alla sua vita e a quello che gli accade, Sonny viene usato come “capro espiatorio” per un efferato omicidio, organizzato in modo da coincidere con un suo breve soggiorno fuori dal carcere; gli viene semplicemente chiesto di “confessare”. E lui lo fa.
Poi qualcosa cambia.
Forse il padre non era corrotto. Forse non era “la talpa”. Forse è stato costretto a suicidarsi. Forse la vera talpa lo ha ucciso.
Sonny smette di farsi. Evade (la parte migliore). E si mette in caccia. Della verità e di tutti i «cattivi» della storia e collabora, a distanza, con un ex collega ed amico del padre. Rimane comunque un killer anomalo, spietato, ma dagli occhi grandi e dai modi gentili, che stringe una bizzarra amicizia con un barbone, diventa l’eroe di un bambino vittima di bulli e, già che c’è, trova pure l’ammore.
Ora naturalmente tutto non è come sembra e avremo qualche discreta “sorpresa” prima della fine.
All’inizio del libro c’è molto “Qualcuno volò sul nido del cuculo” e permane sempre una forte dicotomia fra un “dentro” positivo ed associato alla protezione e alla sicurezza e un “fuori” ostile e pericoloso. Ci sono molti “squali” (per fortuna stavolta solo in metafora) in questa storia e c’è pure una Oslo che ti fa innamorare praticamente al primo morso.
Come accennavo il libro scorre volentieri e Sonny è meno indisponente di Harry.
Non di meno, il libro non è esente da difetti.
Il peggiore (ravvisato anche nel Pipistrello) è l’eccessiva lunghezza; non in senso assoluto, ma relativo. Ad un certo punto l’autore “scopre le carte” e tu, lettore, capisci quello che sta avvenendo e resti in attesa della chiusura della vicenda. Invece sei a metà romanzo e ti attendono almeno duecento pagine che per buona parte sono “sbrodolate”, secondo me.
Il personaggio di Sonny è un tantino caricato e anche un tantino “perché sì”, come il famigerato Gemello (il cattivone), che si vede poco, fa poco, ma è molto “perché sì” anche lui.
Martha (bella-buona-cara-angelo-di-carità-pure-con-il-fidanzato-idiota-e-manesco) è davvero poco credibile oltre che irritante (ed autrice di una delle metafore più terribili della storia della metafore, dal momento che chiede al povero Sonny – che non è molto esperto nella faccenda – di baciarla “come un anaconda addormentato”). Un po’ meglio Simon Kefas e la sua “allieva” Kari.
In generale, comunque, i personaggi minori sono caratterizzati meglio e riescono a fornire dei ritratti piacevoli (il barbone, il carcerato malato di cancro, l’ex galeotto meccanico, il piccolo Markus, i due killer Bo e Sylvester) e più credibili.
Concludendo lettura piacevole, con alcuni difetti (o che a me paiono tali) che ormai credo siano una caratteristica dello stile di Nesbø. Onesto thriller, comunque.