Dettagli Recensione
UN TEMA SUCCOSO MA POCO ORIGINALE
Perdersi nel bosco.
Credo sia una della paure ataviche di molti esseri umani.
Dalle favole di secoli fa fino ai racconti contemporanei, questo tema affascina diversi scrittori tanto da scriverci racconti o romanzi.
Il pensiero di essere soli, di notte, in un luogo sconosciuto, senza punti di riferimento, magari anche inseguiti da due killer professionisti il cui unico intento è ucciderti … beh non è un tema originale, ma appetitoso per chi scrive horror/thriller e compagnia bella.
È questo il caso di “I corpi lasciati indietro” romanzo di Jeffery Deaver, il primo che leggo di questo autore.
La trama si potrebbe riassumere in:
“una donna poliziotto, dopo un duplice omicidio, scappa insieme all’unica superstite e si perde nel bosco inseguita dai due killer”
Solo che Deaver per sviluppare tutto questo impiega circa 500 pagine.
Che altro posso dirvi (senza svelarvi troppo e togliervi il gusto della lettura, nel caso voleste cimentarvi)…
All’inizio, totalmente digiuna dell’autore, ho pensato che questo “perdersi nel bosco” di poliziotta e sopravvissuta fosse una sorta di antefatto per introdurre tutto il resto della storia. Ma a circa 200 pagine di antefatto mi è venuto il dubbio che il romanzo sarebbe stato tutto così, è un po’ sono rimasta delusa, e sconcertata. 500 pagine sono tante anche per un romanzo dove accadono un sacco di cose…anche qua ne succedono molte ma stringi stringi…queste due stanno sempre a scappare nel bosco, un bosco che diventerà più affollato di una metropoli.
Intendiamoci, il libro non è scritto male, l’alternarsi del racconto tra il “punto di vista” delle inseguite e quello degli inseguitori è interessante, ma davvero esageratamente prolisso.
Penso ad un libro che mi era piaciuto molto “La Bambina che amava Tom Gordon” di Stephen King (eh lo so che parliamo del re…) in cui una ragazzina si perde nel bosco durante una gita coi genitori e il fratello, romanzo lungo circa un terzo e tre volte più avvincente…e non posso non fare paragoni.
I personaggi di questo libro di Deaver sono ben descritti e caratterizzati ma ahimè sono degli stereotipi triti e ri-triti: la poliziotta wonder-woman, molto piacente, di mezza età, matrimonio fallito alle spalle, uno che potrebbe fallire da un momento all’altro, con un sacco di problemi familiari vari, che anche con pallottole in corpo e mezza assiderata riesce a percorre chilometri in mezzo al bosco più fitto, la donna di città dal passato (e anche dal presente) misterioso che nessuno conosce e che con gli stivali ultima moda tacco 12 e caviglia slogata pure lei riesce a percorre chilometri in mezzo al bosco più fitto e che si rivelerà non essere quello che sembra, il killer assetato di sangue che una volta ucciso chi deve uccidere, anche lui con pallottole in corpo, insegue la poliziotta perché deve ucciderla a tutti i costi e massacra qualsiasi cosa gli capiti a tiro, che siano uomini, donne o bambini pur di raggiungerla.
Dietro ovviamente un intrigo con uomini d’affari / di potere corrotti.
E un dipartimento di polizia di beoti che dopo 4 ore che la collega (ufficialmente uscita solo per verificare una chiamata al 911 poi “revocata”) non torna alla centrale e non torna nemmeno a casa… non si preoccupano.
Verso pagina 250 comincia a cambiare qualcosa. Ma diciamo che sullo stesso filone delle 250 pagine precedenti i colpi di scena sono piuttosto prevedibili e stereotipati : la poliziotta wonder-woman riesce a fare cose al limite dell’umano (ricordate sempre che è ferita da una pallottola), finalmente la polizia si da una mossa e inizia le ricerche, e non poteva mancare il marito della poliziotta che consumato dai sensi di colpa si lancia pure lui alla ricerca in mezzo al bosco (lui è un architetto di giardini che al bisogno pare diventare superman).
A 350 pagine una leggera svolta, il ritmo comincia a farsi più serrato e i colpi di scena si susseguono benché non siano così incisivi e forse nemmeno così necessari.
Le due escono dal bosco ma la caccia continua in un alternarsi di prede / inseguitori e inseguitori / prede e si va verso il finale, un po’ troppo sbrigativo e a mio avviso banalotto.
Inoltre scompare del tutto il rapporto difficile tra poliziotta e figlio adolescente che viene introdotto nella prima metà del libro e non viene più sviluppato nella parte successiva…
Come dicevo, il libro non è affatto scritto male: la prosa è semplice, gli avvenimenti si svolgono in ordine cronologico e non serve grande attenzione per seguire la storia, lo stile è avvincente, le descrizioni ben fatte ma la prima parte, quella della “fuga” nei boschi, è veramente troppo lunga, a mio avviso poteva essere ridotta di molto senza inficiare lo scorrere della storia, mentre la seconda parte diventa quasi troppo sbrigativa, come se l’autore, raggiunto il numero di pagine che si era prefissato, abbia deciso che era il caso di concludere…dando vita ad un finale piuttosto banale...insomma, da l'impressione che dovesse proprio chiudere e l'abbia fatto nel minor tempo possibile.
Lo consiglio? Non so.
Non è brutto, non è nemmeno bello.
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